Close

Archive for category: Diritto Bancario e Finanziario

Anatocismo: pubblicata la delibera CICR sull’art. 120, c. 2, TUB

Anatocismo: pubblicata la delibera CICR sull’art. 120, c. 2, TUB

Il Ministero dell’economia e delle finanze ha reso noto che, il 3 agosto scorso il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio ha approvato una delibera, in via di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, che detta le disposizioni applicative del secondo comma dell’art. 120 del Testo unico bancario (TUB), come sostituito dall’articolo 17-bis del decreto legge 14 febbraio 2016, n. 18 (convertito nella legge 8 aprile 2016, n. 49).

La delibera sostituisce la precedente del 9 febbraio 2000 (“Modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria (art. 120, comma 2, del Testo unico bancario, come modificato dall’art. 25 del d.lgs. 342/99)”).

Il nuovo testo del comma 2 dell’articolo 120 del TUB demanda al CICR l’individuazione di modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo che:

– nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno;

– gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti;

– gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale;

– per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido;

– gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1ºmarzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati;

– nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili;

– il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili;

– in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l’autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l’addebito abbia avuto luogo.

Nel dare attuazione alle disposizioni di legge, la delibera, che si compone di 5 articoli, stabilisce espressamente quanto segue:

Art.1
(Definizioni)

Ai fini del presente provvedimento si definisce:

“cliente”, qualsiasi soggetto che ha in essere un rapporto contrattuale con un intermediario. Non sono clienti le banche, le società finanziarie, gli istituti di moneta elettronica, gli istituti di pagamento, le imprese di assicurazione, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, i fondi di investimento alternativi, le società di gestione del risparmio, le società di gestione accentrata di strumenti finanziari, i fondi pensione, Poste Italiane s.p.a., la Cassa depositi e prestiti e ogni altro soggetto che svolge attività di intermediazione finanziaria. Non si considerano clienti nemmeno le società aventi natura finanziaria controllanti, controllate o sottoposte al comune controllo dei soggetti sopra indicati;

“intermediario”, le banche, gli intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del TUB e gli altri soggetti abilitati a erogare a titolo professionale finanziamenti ai quali si applica il titolo VI del TUB;

“conto di pagamento”, il conto come definito all’articolo 1, comma 1, lettera l), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11.

Art.2
(Scopo e ambito di applicazione)

1. Il presente decreto attua l’articolo 120, comma 2, del TUB e si applica alle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito tra intermediari e clienti disciplinate ai sensi del titolo VI del TUB.

2. La produzione di interessi nelle operazioni di cui al comma 1 è regolata secondo le modalità e i criteri indicati negli articoli 3 e 4.

3. L’imputazione dei pagamenti è regolata in conformità dell’articolo 1194 del codice civile.

Art.3
(Regime degli interessi)

1. Nelle operazioni indicate dall’articolo 2, comma 1, ivi compresi i finanziamenti a valere su carte di credito, gli interessi debitori maturati non possono produrre interessi, salvo quelli di mora.

2. Agli interessi moratori si applicano le disposizioni del codice civile.

3. Nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento è assicurata la stessa periodicità, comunque non inferiore a un anno, nel conteggio degli interessi creditori e debitori. Gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, comunque, al termine del rapporto per cui sono dovuti; per i contratti stipulati nel corso dell’anno, il conteggio è effettuato il 31 dicembre.

Art.4
(Interessi maturati in relazione alle aperture di credito regolate in conto corrente e conto di pagamento e agli sconfinamenti)

1. Il presente articolo si applica:

a) alle aperture di credito regolate in conto corrente di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 30 giugno 2012, n. 644, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 luglio 2012, n. 155, e a quelle regolate in conto di pagamento anche quando la disponibilità sul conto, nella forma di cui all’articolo 1842 del codice civile, sia generata da operazioni di anticipo su crediti e documenti;

b) agli sconfinamenti di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b), c) ed), del medesimo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 30 giugno 2012, n. 644, quali definiti dall’articolo 1, comma 1, lettera d), del decreto anzidetto.

2. Ai contratti di apertura di credito che vengono stipulati e si esauriscono nel corso di uno stesso anno solare si applica il solo comma 7.

3. Gli interessi debitori maturati sono contabilizzati separatamente rispetto alla sorte capitale. Il saldo periodico della sorte capitale produce interessi nel rispetto di quanto stabilito dal presente articolo.

4. Gli interessi debitori divengono esigibili il 1 ° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati. Al cliente deve comunque essere assicurato un periodo di trenta giorni dal ricevimento delle comunicazioni previste ai sensi dell’articolo 119 o 126-quater, comma 1, lettera b ), del TUB prima che gli interessi maturati divengano esigibili. Il contratto può prevedere termini diversi, se a favore del cliente.

5. Ai sensi dell’articolo 120, comma 2, lettera b), del TUB, il cliente può autorizzare, anche preventivamente,  l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l’autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l’addebito abbia avuto luogo.

6. Il contratto può stabilire che, dal momento in cui gli interessi sono esigibili, i fondi accreditati sul conto dell’intermediario e destinati ad affluire sul conto del cliente sul quale è regolato il finanziamento siano impiegati per estinguere il debito da interessi.

7. Fermo restando quanto disposto dall’articolo 2, comma 3, in caso di chiusura definitiva del rapporto,
gli interessi sono immediatamente esigibili. Il saldo relativo alla sorte capitale può produrre
interessi, secondo quanto previsto dal contratto; quanto dovuto a titolo di interessi non produce ulteriori
interessi.

Art. 5
(Disposizioni finali)

1. Gli intermediari applicano il presente decreto, al più tardi, agli interessi maturati a partire dal 1° ottobre 2016.

2. I contratti in corso sono adeguati con l’introduzione di clausole conformi all’articolo 120, comma 2, del TUB e al presente decreto, ai sensi degli articoli 118 e 126-sexies del TUB. L’adeguamento costituisce giustificato motivo ai sensi dell’articolo 118 del TUB. Sulla clausola contenente l’autorizzazione prevista dall’articolo 4, comma 6, deve essere acquisito il consenso espresso del cliente, secondo quanto previsto dall’articolo 117, comma 1, del TUB. Per i contratti che non prevedono l’applicazione degli articoli 118 e 126-sexies del TUB, gli intermediari propongono al
cliente l’adeguamento del contratto entro il 30 settembre 2016.

3. Ai sensi dell’art. 127, comma 1, del TUB, le previsioni del presente decreto sono derogabili solo in senso più favorevole al cliente.

Copyright © – P&P Studio Legale – Riproduzione riservata

Stress test. Nota di approfondimento della Banca d’Italia

Stress test. Nota di approfondimento della Banca d’Italia

Lo scorso venerdì 29 luglio sono stati pubblicati i risultati dell’esercizio di stress test condotto sulle maggiori banche europee e coordinato dall’Autorità Bancaria Europea (EBA), in collaborazione con la Banca Centrale Europea (BCE) e le autorità di vigilanza nazionali.

Per quanto riguarda le banche italiane, sono state interessate UniCredit, Intesa Sanpaolo, Banca Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e UBI Banca.

Per comprendere meglio i risultati degli stress test, Banca d’Italia ha realizzato una nota di approfondimento, il cui testo si riporta qui di seguito.

Risultati dello stress test europeo del 2016

Sono stati pubblicati oggi i risultati dello stress test delle maggiori banche europee, fra cui le principali cinque italiane (UniCredit, Intesa Sanpaolo, Banca Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e UBI Banca). L’esercizio è stato coordinato dall’Autorità Bancaria Europea (EBA), in collaborazione con la BCE e le autorità di vigilanza nazionali. Si tratta di un esercizio severo, che valuta la capacità di tenuta delle grandi banche europee in condizioni economiche e finanziare avverse, con bassa probabilità di realizzarsi.

Gli stress test sono entrati da anni a far parte degli strumenti utilizzati dalle autorità di vigilanza bancaria. Possono essere usati per quantificare immediate esigenze di rafforzamento patrimoniale. Al contrario, in questo caso i risultati saranno utilizzati per fornire alla Vigilanza indicazioni utili ai fini dell’ordinaria attività di supervisione.

La metodologia degli esercizi di stress test può variare molto tra i diversi paesi e nel corso del tempo: il confronto tra gli esercizi effettuati da diverse autorità o in anni differenti va effettuato con cautela.

L’esercizio ora condotto è particolarmente rigoroso, sia per la lunghezza del periodo temporale considerato – un triennio, ben superiore a quanto fatto negli analoghi esercizi degli USA – sia per alcune importanti assunzioni metodologiche.

Le caratteristiche dell’esercizio

– Diversamente dall’esercizio di Valutazione Approfondita (Comprehensive Assessment) del 2014, lo stress test di quest’anno non è del tipo “pass/fail”, in quanto non stabilisce una soglia minima di capitale da rispettare attraverso immediate misure di rafforzamento patrimoniale. I risultati rappresenteranno, con modalità non automatiche, uno degli elementi per la quantificazione del capitale di Secondo Pilastro (Pillar 2), in esito al Processo di revisione e controllo prudenziale (Supervisory Review and Evaluation Process, SREP). Le decisioni sugli esiti dello SREP saranno formalmente assunte alla fine del 2016 e diverranno operative dall’inizio del 2017.

– Lo stress test ipotizza per ciascun paese due scenari: uno di base (baseline), ripreso dalle previsioni della Commissione europea formulate nell’autunno 2015, e uno avverso (adverse). La simulazione è stata condotta a partire dai dati di bilancio delle banche di fine 2015.

– Nello scenario avverso si ipotizza per l’Italia una caduta del PIL reale nel triennio 2016-18 di quasi sei punti percentuali rispetto alle previsioni dello scenario di base. Nel 2018 il livello del prodotto sarebbe di circa 10 punti percentuali inferiore a quello osservato all’inizio della crisi finanziaria (2007); si tratterebbe di una perdita senza precedenti dall’ultimo conflitto mondiale. Lo scenario avverso ipotizza inoltre un aumento nel triennio del rendimento dei titoli di Stato italiani a lungo termine di circa 100 punti base, che comporterebbe una svalutazione del 12 per cento di tali titoli.

Tavola 1

Evoluzione delle principali variabili macroeconomiche italiane nell’esercizio di stress (valori percentuali)

Scenario di base                     2016                   2017                2018        Scenario avverso         2016         2017         2018

Tasso di crescita del PIL        1,5                       1,4                    1,7                                                    -0,4           -1,1            0,0

Tassi a lungo termine             1,8                      2,0                    2,1                                                     2,9             3,0           3,0

Deviazione (1)                   Tasso di crescita del PIL -5,9                                          Tassi a lungo termine 1,0

Fonte: ERSB/EBA, Adverse macro-financial scenario for the EBA 2016 EU-wide bank stress testing exercise, 29 gennaio 2016.

(1) Cumulata della differenza tra scenario avverso e scenario di base nel caso del PIL; media delle differenze tra i livelli nei due scenari nel caso dei tassi.

– Allo scenario macroeconomico avverso si aggiungono una serie di assunzioni metodologiche, sostenibili per il complesso degli intermediari, che possono avere effetti particolarmente negativi per le banche ancora in ristrutturazione o già caratterizzate da condizioni di debolezza.

– Analogamente agli esercizi condotti in passato, l’EBA ha adottato il principio del bilancio statico. Ciò significa che azioni volte a riqualificare la composizione del portafoglio verso segmenti del mercato e prodotti meno rischiosi o più redditizi non sono ammissibili né si può sostituire la raccolta in scadenza molto costosa con altra meno onerosa. In altre parole, al fine di valutare la solidità delle banche sottoposte all’esercizio secondo un quadro analitico comune e in base a informazioni comparabili, l’approccio trascura volutamente le azioni che le banche potrebbero mettere in atto nel corso del triennio per attenuare gli effetti negativi degli shock.

– Nell’esercizio di quest’anno rileva inoltre l’introduzione di uno shock idiosincratico, che ipotizza l’immediato declassamento del rating della banca di due livelli con effetti irreversibili lungo tutto il triennio considerato. Per le banche con bassi rating iniziali (ad es. B-) questo declassamento determina, a sua volta, un significativo aumento del costo della raccolta, fino a 220 punti base per l’emissione di titoli senior. Non si consente inoltre agli intermediari di trasferire almeno parte di questi costi sui nuovi impieghi.

– In sintesi, per le banche con rating deboli, la combinazione del principio del bilancio statico con l’ipotesi dello shock idiosincratico è particolarmente penalizzante, in quanto assume l’erogazione di nuovi finanziamenti già in perdita fin dal momento della concessione.

– Sui risultati delle banche con una consistenza elevata di prestiti deteriorati presenti nei loro bilanci 2015 ha inciso negativamente la non contabilizzazione di tutti gli interessi a essi relativi. Ai fini della formazione del margine di interesse, l’esercizio considera infatti non produttivi di interessi sia i finanziamenti facenti capo a debitori insolventi sia quelli riconducibili a inadempienze probabili e a esposizioni scadute/sconfinanti, nonostante vi siano, per quest’ultima categoria di prestiti, probabilità non trascurabili che il debitore torni a onorare i propri impegni, come avvenuto anche negli anni scorsi.

– Al fine di assicurare confronti omogenei tra le banche, a prescindere dai trattamenti fiscali dei differenti paesi, la metodologia vieta inoltre il riconoscimento dei benefici fiscali da differenze temporanee, come ad esempio quelli derivanti dalla svalutazione degli strumenti finanziari iscritti nel portafoglio disponibile per la vendita (Available For Sale, AFS); tale scelta amplifica l’impatto dello shock derivante da un deterioramento del rischio sovrano sui titoli di Stato in portafoglio e penalizza le banche che detengono titoli della specie. Come è noto, i principi contabili consentono la creazione di tali differenze; la normativa prudenziale ne prevede, in condizioni ordinarie, un trattamento meno penalizzante.

I risultati per le banche italiane

– Nonostante la severità dell’esercizio e le forti tensioni degli ultimi anni, quattro delle cinque principali banche italiane comprese nel campione EBA mostrano una buona tenuta. Per queste banche (UniCredit, Intesa Sanpaolo, Banco Popolare e UBI Banca) l’impatto ponderato sul capitale (CET1) derivante dallo scenario avverso è pari a 3,2 punti percentuali a fronte del 3,8 per cento della media del campione EBA. Comprendendo anche il Monte dei Paschi, l’impatto sarebbe, in termini ponderati, di 4,1 punti percentuali.

– Il Monte dei Paschi di Siena, che supera il test nello scenario di base, mostra nello scenario avverso un risultato negativo. Le condizioni del Monte dei Paschi di Siena sono da tempo all’attenzione dell’SSM. Dal novembre del 2013 il gruppo è sottoposto a un piano di ristrutturazione approvato dalla Commissione europea, tuttora in corso, durante il quale sono stati conseguiti risultati notevoli, sul piano della razionalizzazione organizzativa e dell’abbattimento dei costi.

– Circa la metà della complessiva riduzione di capitale registrata dal Monte dei Paschi è attribuibile alla diminuzione del margine di interesse; la restante parte è dovuta all’incremento delle deduzioni patrimoniali e delle perdite su crediti e alle svalutazioni sui titoli di Stato detenuti nel portafoglio AFS. Per due terzi circa l’impatto a conto economico è dovuto alla riduzione del margine di interesse. In particolare, l’entità dello shock idiosincratico (pari a 220 punti base), commisurato al rating di partenza della banca (B-), è di gran lunga superiore a quello previsto per banche con rating migliori (25 punti base, per le banche con rating AAA), specie se si considera che tale shock produce i suoi effetti per tre anni consecutivi.

– Il Consiglio di amministrazione del Monte dei Paschi ha oggi deliberato un piano che prevede la cessione dell’intero portafoglio di crediti in sofferenza e un aumento di capitale fino a 5 miliardi, che consentirà di incrementare significativamente gli accantonamenti sui restanti crediti deteriorati. Per effetto di tale operazione, la banca deterrà prestiti deteriorati – ma non in sofferenza – in linea con quelli medi del sistema bancario italiano. Il patrimonio di Vigilanza della banca si manterrà sugli attuali livelli e la redditività potrà risentire di miglioramenti sia sul fronte dei costi della provvista e del credito sia su quello del rendimento dell’attivo e della liquidità.

Copyright © – P&P Studio Legale – Riproduzione riservata

Modifiche in materia di procedure esecutive e concorsuali

Modifiche in materia di procedure esecutive e concorsuali

Il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente Matteo Renzi, del Ministro dell’economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan e del ministro della Giustizia Andrea Orlando, ha approvato il decreto legge che reca disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione.

Il decreto legge dispone misure per il rimborso degli investitori nelle quattro banche poste in risoluzione nel novembre 2015, misure a sostegno delle imprese e misure di accelerazione delle attività di recupero crediti, nonchè importanti modifiche al codice di procedura civile e alla legge fallimentare.

Si attende ora la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

MISURE A SOSTEGNO DELLE IMPRESE E DI ACCELERAZIONE DEL RECUPERO CREDITI

Il decreto legge introduce una serie di misure a sostegno delle imprese e di accelerazione del recupero crediti, che conferiscono certezza e rapidità alle procedure anche grazie all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Pegno non possessorio

Per favorire l’impresa nelle attività di produzione del reddito in caso di fabbisogno di accesso al credito, viene introdotto il principio del pegno non possessorio, grazie al quale il debitore che dà in pegno un bene mobile destinato all’esercizio dell’impresa (per esempio un macchinario) può continuare ad utilizzarlo nel processo produttivo (mentre nell’ordinamento precedente perdeva l’uso del bene gravato da pegno). Si introduce inoltre un registro digitale, tenuto dalla Agenzia delle entrate, denominato “Registro dei pegni non possessori”.

Patto marciano nei nuovi contratti di finanziamento

Per i contratti di finanziamento stipulati tra istituti finanziari e imprese è introdotta la facoltà di ricorrere al cosiddetto “patto marciano”. Quest’ultimo contempla la possibilità che nel caso di finanziamento con garanzia di un bene immobile (che non deve essere la residenza dell’imprenditore) le parti possano stipulare un contratto di cessione del bene stesso che diviene efficace in caso di inadempimento del debitore. Nel caso di rimborso tramite rate mensili, si ha inadempimento quando il mancato pagamento si protrae per oltre sei mesi dalla scadenza di almeno tre rate. Nel caso di restituzione in unica soluzione o con periodo di rateizzazione superiore al mese (per esempio rate trimestrali o semestrali) l’inadempimento si verifica trascorsi sei mesi dalla scadenza di una rata non corrisposta. Il valore di cessione in caso di efficacia del patto marciano viene determinato da un terzo, in funzione di una procedura definita tra le parti. Qualora il valore del bene al momento della cessione sia superiore al debito residuo, il creditore corrisponde al debitore la differenza tra i due valori. Qualora il valore del bene sia inferiore al debito residuo, il debitore non dovrà corrispondere nulla al creditore. Se le parti tra le quali è già in vigore un contratto di finanziamento lo desiderano, possono rinegoziare il contratto di finanziamento già in essere, e in questo contesto possono adottare il patto marciano.

Norme attinenti le procedure di recupero crediti

Per ridurre i tempi di recupero dei crediti vengono adottati termini più brevi per la facoltà dei debitori di fare opposizione agli atti dell’esecuzione, il giudice deve disporre la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo per le somme non contestate, anche in presenza di una opposizione del debitore, l’acquirente del bene in un’asta giudiziaria può indicare l’assegnazione dello stesso a un soggetto terzo.

Modifiche alla legge fallimentare

Per rendere più celeri le procedure fallimentari si introduce la possibilità di utilizzare le tecnologie telematiche per le udienze e per le adunanze dei creditori. Inoltre può essere revocato il curatore che non rispetta i termini fissati per la procedura.

Registro delle procedure esecutive e concorsuali

Viene istituito presso il Ministero della giustizia un registro digitale delle procedure esecutive e concorsuali, le quali dovranno essere tutte digitalizzate.

ALTRE MISURE

Fondo bancario di solidarietà del personale del credito

Si amplia l’operatività del Fondo bancario di solidarietà per la riconversione e riqualificazione professionale del personale del credito. Per agevolare la gestione degli esuberi di personale, l’indennità di sostegno al reddito può essere erogata fino a sette anni, anziché cinque come previsto attualmente, prima che il soggetto raggiunga i requisiti per la pensione.

Imposte differite

Il decreto legge prevede anche disposizioni in materia di imposte differite attive. Le società potranno continuare ad applicare le disposizioni fiscali vigenti alle attività per imposte anticipate a condizione che versino un canone annuo pari all’1,5% della differenza tra le attività per imposte anticipate e le imposte versate. Le disposizioni permetteranno di superare i dubbi sollevati dalla Commissione europea sull’esistenza di componenti di aiuto di Stato nel quadro normativo attuale relativo alle attività per imposte differite.

INDENNIZZI AGLI INVESTITORI

Il decreto prevede rimborsi ai clienti delle 4 banche oggetto della procedura di risoluzione nel novembre scorso (Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, Banca delle Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti) che hanno investito in obbligazioni delle banche stesse.

Coloro che hanno acquistato le obbligazioni entro il 12 giugno 2014, data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale europea della Direttiva per il risanamento e la risoluzione delle crisi bancarie (BRRD) da parte delle istituzioni dell’Unione europea, possono richiedere indennizzi automatici o accedere alla procedura arbitrale. Coloro che hanno investito in obbligazioni successivamente a tale data possono accedere alla procedura arbitrale prevista dalla legge di stabilità per il 2016. In entrambi i casi le risorse vengono attinte dal Fondo di solidarietà istituito con la legge di stabilità per il 2016. Per il Fondo di solidarietà viene eliminato il tetto di 100 milioni di euro di ammontare che era stato previsto nella stessa legge di stabilità.

Le modalità di compensazione per i detentori di obbligazioni subordinate emesse dalle 4 banche sono state definite in considerazione di alcune condizioni concomitanti tra di loro. Innanzitutto alcuni indici, come il rapporto tra attività e redditi da un lato e concentrazione dell’investimento dall’altra, fanno presumere che siano stati allocati ad alcuni risparmiatori prodotti finanziari non compatibili con il loro profilo di investimento. Occorre inoltre considerare che la vendita di prodotti a clienti non professionali è stata spesso effettuata in relazione ad altri servizi prestati dalle 4 banche agli stessi clienti e quindi con il possibile condizionamento di questi ultimi all’acquisto. È quindi opportuno ricordare che la responsabilità di porre rimedio alla vendita impropria di prodotti finanziari è in primo luogo delle banche stesse. Il Governo e le autorità italiane di vigilanza sono determinati a contrastare eventuali altre condotte di questo tipo e a prevenirne di nuove rinforzando i presidi normativi e regolamentari, la qualità dell’informazione e l’incisività dei controlli. Infine si segnala che il burden sharing a carico dei detentori di obbligazioni subordinate emesse da queste 4 banche poste in risoluzione ha avuto luogo nel 2015 e ha riguardato titoli di debito emessi prima della pubblicazione delle nuove regole europee sul risanamento e la risoluzione, avvenuta il 12 giugno 2014. Dal 1 gennaio 2016 questo nuovo quadro di regole è parte integrante dell’ordinamento italiano in vigore e pienamente applicabile in tutte le sue componenti.

INDENNIZZI AUTOMATICI

Gli investitori che hanno acquistato entro il 12 giugno 2014 obbligazioni emesse dalle 4 banche oggetto della procedura di risoluzione nel novembre scorso possono chiedere al Fondo l’erogazione di un indennizzo automatico se ricorre una delle seguenti condizioni:

  1. patrimonio mobiliare dell’investitore di valore inferiore a 100.000 euro posseduto al 31 dicembre 2015;
  2. ammontare del reddito lordo ai fini Irpef dell’investitore nell’anno 2015 inferiore a 35.000 euro.

L’importo dell’indennizzo automatico è forfettario, pari all’80% del corrispettivo pagato per l’acquisto degli strumenti finanziari detenuti alla data di risoluzione delle banche in liquidazione, al netto di oneri e spese connessi alle operazioni di acquisto e della differenza tra rendimenti ottenuti e tasso sui Btp. L’istanza di erogazione dell’indennizzo forfettario è indirizzata al Fondo e deve indicare il nome, e l’indirizzo (anche digitale) dell’investitore, la banca in liquidazione presso la quale sono stati acquistati i titoli, gli strumenti finanziari acquistati, le rispettive quantità, gli oneri connessi all’acquisto. L’investitore deve anche allegare la documentazione relativa al contratto di acquisto delle obbligazioni, i moduli di sottoscrizione o l’ordine di acquisto, le attestazioni degli ordini acquisiti, copia della richiesta di pagamento alla banca in liquidazione del credito relativo agli strumenti finanziari subordinati, una dichiarazione sulla consistenza patrimoniale o sull’ammontare del reddito. Il Fondo verifica la completezza della documentazione, la sussistenza delle condizioni, calcola l’importo dell’indennizzo e procede alla liquidazione.

Mutui: Approvato il decreto attuativo della direttiva MCD

Mutui: Approvato il decreto attuativo della direttiva MCD

Il Consiglio dei ministri ha definitivamente approvato il decreto legislativo di attuazione della direttiva 2014/17/UE, la c.d. “MCD – Mortgage Credit Directive“, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in tema di contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali nonché modifiche e integrazioni del titolo VI-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sulla disciplina degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi e del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141.

Nello specifico la finalità della direttiva è quella di garantire un elevato livello di protezione dei consumatori che sottoscrivono contratti di credito relativi a beni immobili (mutui immobiliari garantiti da ipoteche o finalizzati all’acquisto del diritto di proprietà su un immobile).

Si attende adesso soltanto la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Importanti le novità a protezione dei consumatori, tra le quali spicca l’innalzamento a 18 mesi di rate mensili non pagate per essere considerati inadempienti.

In sintesi le novità principali del decreto:

1) Ambito di applicazione:

– mutui aventi ad oggetto la concessione di credito garantito da ipoteca su un immobile residenziale;

– mutui finalizzati all’acquisto o alla conservazione del diritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o progettato.

2) obbligo di fornire al consumatore informazioni precontrattuali dettagliate su un Prospetto Informativo Europeo Standardizzato (PIES), spiegazioni adeguate prima della conclusione del contratto di credito e chiarimenti in ordine al calcolo del tasso annuo effettivo globale (TAEG).

3) individuati i canoni di comportamento per i finanziatori e gli intermediari del credito che offrono contratti di credito ai consumatori.

4) la Banca d’Italia, nelle disposizioni attuative, dovrà avere particolare riguardo ai casi di eventuale stato di bisogno o di debolezza del consumatore.

5) Nella stipula del contratto le parti potranno convenire, attraverso clausola espressa, che in caso di inadempimento del consumatore la restituzione o il trasferimento del bene dato a garanzia, o dei proventi della vendita del bene stesso, comportino l’estinzione dell’intero debito anche se il valore del bene immobile restituito (o i proventi) sia inferiore al debito residuo.

6) Qualora il valore dell’immobile o i proventi dalla vendita siano invece superiori al debito residuo, il consumatore avrà diritto all’eccedenza.

7) La possibilità di acconsentire, da parte del consumatore, al trasferimento della proprietà dell’immobile in caso di inadempimento prevede l’applicabilità solo per i futuri contratti. Prevista l’assistenza obbligatoria di un consulente per il consumatore che intenda sottoscrivere questa clausola.

8) estesa a 18 mesi di rate mensili non pagate la soglia oltre la quale si ha “inadempimento” da parte del consumatore.

Copyright © – P&P Studio Legale – Riproduzione riservata

Prestito vitalizio ipotecario. In G.U. il nuovo regolamento

Prestito vitalizio ipotecario. In G.U. il nuovo regolamento

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 38 del 16 febbraio 2016 il Decreto del Ministero dello sviluppo economico del 22 dicembre 2015, n. 226 con cui è stato emanato il Regolamento recante norme in materia di disciplina del prestito vitalizio ipotecario.

Il testo del decreto ottempera alle osservazioni formulate recentemente dal Consiglio di Stato. In sintesi era stato sottolineato come fosse necessario:
a) rendere obbligatoria l’informativa al richiedente il finanziamento sulle conseguenze a carico degli eredi, anche nel caso di estinzione anticipata del finanziamento.
b) limitare la possibilità di revoca del finanziamento nel caso in cui il debitore subisca atti conservativi o esecutivi alla sola eventualità in cui tali procedimenti siano di importo pari o superiore ad un certo valore, da determinare in relazione al finanziamento o al valore dell’immobile.

La funzione economica di tale forma di finanziamento è quella di consentire al proprietario di un immobile, di età superiore a 60 anni (la normativa precedente prevedeva un limite di età di 65 anni), di rendere liquida una parte del valore della abitazione per soddisfare esigenze di liquidità senza che lo stesso proprietario sia tenuto a lasciare la proprietà residenziale, che viene comunque posta a garanzia del finanziamento.

Il prestito vitalizio ipotecario va dunque distinto dal mutuo. Con un contratto di mutuo infatti un individuo prende a prestito da una banca una somma di denaro per acquistare un’abitazione e restituisce poi il prestito con rate periodiche; il prestito ipotecario consente, invece, a colui che è già proprietario di “prendere a prestito” una somma di denaro a fronte del valore dell’abitazione evitando di dover vendere la nuda proprietà.

Proseguendo con la disamina del meccanismo di funzionamento, si prevede una differenziazione di importo finanziabile in relazione all’età.

Per coloro che hanno 60 anni o poco più infatti l’importo del finanziamento non può superare il 15-20 per cento del valore dell’immobile, mentre per i proprietari in età più avanzata si arriva fino al 50 per cento del valore dell’abitazione.

Deve essere offerta poi la possibilità di stipulare un prestito cointestato sia ai coniugi che ai conviventi more uxorio. Invero, nel caso in cui il soggetto finanziato, al momento della stipula del finanziamento, risulta coniugato, ovvero convivente more uxorio da almeno un quinquennio documentato attraverso la presentazione di un certificato di residenza storico, e nell’immobile posto a garanzia risiedano entrambi i coniugi o conviventi more uxorio , il contratto deve essere sottoscritto da entrambi anche se l’immobile è di proprietà di uno solo di essi, purché i requisiti di età previsti dall’articolo 11-quaterdecies, comma 12, della legge siano posseduti da entrambi i sottoscrittori.

Si prevedono poi:

  • specifici obblighi informativi a carico dell’ente finanziatore con la predisposizione di due prospetti esemplificativi recanti la simulazione del piano di ammortamento da sottoporre all’interessato. In particolare, nel contratto di finanziamento sono presenti, secondo la scelta effettuata dal soggetto finanziato ai sensi dell’articolo 11-quaterdecies, comma 12 -bis, della legge, anche in allegato al contratto stesso due prospetti esemplificativi, chiamati “Simulazione del piano di ammortamento”, che illustrano il possibile andamento del debito nel tempo, evidenziando anno per anno separatamente il capitale e gli interessi, uno applicando il tasso contrattuale al momento della stipula del prestito vitalizio ipotecario, e l’altro simulando al terzo anno dalla stipula del contratto di prestito ipotecario vitalizio uno scenario di rialzo dei tassi di interesse non inferiore a 300 punti base rispetto al tasso vigente al momento della stipula del contratto o, se ha un valore inferiore a questa ipotesi, all’eventuale cap previsto dal contratto.
    La documentazione precontrattuale che il finanziatore consegna al soggetto richiedente è la medesima prevista per i mutui ipotecari dalle “Disposizioni di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” della Banca d’Italia del 29 luglio 2009, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 217 del 18 settembre 2009, e successive modificazioni, in quanto applicabili.
    È fatto, altresì, obbligo al finanziatore di consegnare gratuitamente al soggetto richiedente, almeno 15 giorni prima dell’eventuale stipula del contratto, un prospetto informativo contenente in modo chiaro le seguenti informazioni minime: a) l’importo finanziato con la corrispondente indicazione della percentuale del valore di perizia dell’immobile dato in garanzia; b) l’indicazione della somma che sarà erogata al soggetto finanziato al netto delle imposte e di tutti i costi legati al finanziamento, compresi quelli di istruttoria, notarili, della perizia estimativa e della polizza assicurativa.
  • il divieto di esigere il pagamento delle spese sostenute dal finanziatore qualora il finanziato decida di non sottoscrivere il contratto.

Al finanziamento può accompagnarsi una polizza assicurativa per l’immobile, ma il richiedente ha la facoltà di acquistare la polizza assicurativa anche presso un soggetto differente dal finanziatore, che annualmente deve consegnare un resoconto della propria posizione debitoria.

L’estinzione del finanziamento si configura non solo con la morte del proprietario, ma anche qualora vengano trasferiti in tutto o in parte i diritti reali di godimento sull’abitazione data in garanzia. Può anche scegliersi la formula del rimborso alla scadenza.

Nel caso di decesso del beneficiario sono gli eredi, entro 12 mesi, a dover estinguere il finanziamento scegliendo tra:

  • l’estinzione del debito nei confronti dalla banca;
  • la vendita dell’immobile ipotecato;
  • oppure, in ultima ipotesi, l’affidamento della vendita alla banca mutuataria per rimborsare il credito (il decreto stabilisce che debba avvenire a prezzo di mercato) con il pagamento degli interessi semplici. La parte eccedente il capitale residuo potrà così beneficiare dell’eventuale andamento positivo dei prezzi dell’immobile.

In particolare, il rimborso integrale del finanziamento in un’unica soluzione può essere richiesto dal finanziatore nei seguenti casi:

  • al momento della morte del soggetto finanziato; se il finanziamento è cointestato, tale condizione si avvera al momento della morte del soggetto finanziato più longevo;
  • se vengono trasferiti, in tutto o in parte, la proprietà o altri diritti reali o di godimento sull’immobile dato in garanzia, in particolare:
    i. nel caso in cui la proprietà dell’immobile, o una sua quota, è venduta o trasferita a qualsiasi titolo, fatto salvo il caso di trasferimento mortis causa della proprietà, anche pro quota, in cui si applica la lettera a);
    ii. salvo quanto previsto diversamente nel contratto, nel caso in cui è concesso un godimento d’usufrutto, d’uso, di abitazione o un diritto di superficie in relazione all’immobile;
    iii. nel caso di concessione di servitù non presenti al momento della stipula del finanziamento;
  • qualora siano imputabili al soggetto finanziato, o a terzi datori d’ipoteca, atti compiuti con dolo o colpa grave che riducano significativamente il valore dell’immobile;
  • qualora siano costituiti diritti reali di garanzia in favore di terzi che vadano a gravare sull’immobile;
  • qualora siano apportate modifiche all’immobile rispetto al suo stato originale come documentato in sede di perizia e dalla documentazione catastale, senza accordo con il finanziatore, anche se con la necessaria autorizzazione o notificazione alle autorità competenti, ovvero modifiche che comunque limitino la libera circolazione dell’immobile;
  • qualora l’incuria o la mancanza di adeguata manutenzione abbia determinato la revoca dell’abitabilità dell’immobile;
  • qualora altri soggetti, dopo la stipula del finanziamento, prendano la residenza nell’immobile, ad eccezione dei familiari del soggetto finanziato; a questi fini come familiari si intendono i figli, nonché il coniuge o convivente more uxorio e il personale regolarmente contrattualizzato che convive con il soggetto finanziato per prestare a lui o alla sua famiglia i suoi servizi;
  • nel caso in cui l’immobile oggetto di garanzia subisca procedimenti conservativi o, esecutivi di importo pari o superiore al venti per cento del valore dell’immobile concesso in garanzia o ipoteche giudiziali.

Dal punto di vista fiscale si conferma l’applicazione dell’imposta sostitutiva agevolata dello 0,25 per cento.

Il Decreto entra in vigore a partire dal 02 marzo 2016.

Copyright © – P&P Studio Legale – Riproduzione riservata

Credito ai consumatori. Approvato in esame preliminare il d.lgs.

Credito ai consumatori. Approvato in esame preliminare il d.lgs.

Lo scorso 21 gennaio 2016 il Consiglio dei Ministri n. 101 ha approvato in esame preliminare il decreto legislativo di attuazione della direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali nonché recante modifiche ed integrazioni del titolo VI-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 sulla disciplina degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi e del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141.

Come chiaramente si legge nel comunicato stampa diramato dal Governo, la finalità della direttiva è di garantire un elevato livello di protezione dei consumatori che sottoscrivono contratti di credito relativi a beni immobili (mutui immobiliari garantiti da ipoteche o finalizzati all’acquisto del diritto di proprietà su un immobile).

La direttiva impone, tra l’altro, che siano fornite al consumatore informazioni precontrattuali dettagliate su un Prospetto Informativo Europeo Standardizzato (PIES), spiegazioni adeguate prima della conclusione del contratto di credito nonchè chiarimenti in ordine al calcolo del tasso annuo effettivo globale (TAEG).

Lo schema di decreto legislativo chiarisce l’ambito di applicazione delle nuove norme che è circoscritto a:

• mutui aventi ad oggetto la concessione di credito garantito da ipoteca su un immobile residenziale;

• mutui finalizzati all’acquisto o alla conservazione del diritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o progettato.

Vengono poi individuati i canoni di comportamento per i finanziatori e gli intermediari del credito che offrono contratti di credito ai consumatori (i.e. canoni di diligenza, correttezza, trasparenza e attenzione ai diritti e agli interessi dei consumatori).

È inoltre richiamato il principio secondo il quale i finanziatori e gli intermediari del credito basano la propria attività sulle informazioni riguardanti la situazione del consumatore, su ogni bisogno particolare da quest’ultimo comunicato, su ipotesi ragionevoli con riguardo ai rischi cui è esposta la situazione del consumatore per la durata del contratto di credito.

Il decreto legislativo contiene anche precise indicazioni sugli annunci pubblicitari relativi a contratti di credito. Essi devono essere effettuati in maniera corretta, chiara e non ingannevole e non devono contenere formulazioni che possano indurre nel consumatore false aspettative sulla disponibilità o il costo del credito.

Per quanto riguarda gli annunci pubblicitari che riportano il tasso di interesse o altre cifre concernenti il costo del credito, viene riportato l’elenco delle informazioni di base che gli annunci devono riportare in maniera precisa, evidenziata e, a seconda del mezzo usato, facilmente leggibile o udibile.

È previsto che il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), su proposta della Banca d’Italia, precisi le caratteristiche degli annunci pubblicitari, le relative modalità di divulgazione e i criteri per la definizione dell’esempio rappresentativo.

Si prevede il divieto delle cosiddette pratiche di commercializzazione abbinata, che consistono nell’offerta o commercializzazione di contratti di credito assieme ad altri prodotti o servizi finanziari distinti, se questi ultimi sono obbligatori per la conclusione del contratto.

Copyright © – P&P Studio Legale – Riproduzione riservata

D.Lgs. 180 e 181 del 2015: Le nuove regole sulle crisi bancarie

D.Lgs. 180 e 181 del 2015: Le nuove regole sulle crisi bancarie

Le nuove regole sulle crisi bancarie, introdotte dai d.lgs. 180 e 181 del 16 novembre 2015, sono state utilizzate pochi giorni dopo nella risoluzione della nota crisi di quattro banche di medie dimensioni.

Dal 2016 la loro operatività sarà completa.

L’articolo descrive in sintesi le novità e spiega il loro impatto sulle banche, sui loro creditori e sui loro clienti.

Dalla crisi finanziaria alle nuove regole

La crisi finanziaria, che ha colpito il mondo in un drammatico crescendo a partire dall’estate del 2007, ha messo in evidenza la mancanza, nei paesi più avanzati, di regole che consentissero di affrontare con rapidità ed efficacia la crisi delle banche. Messi di fronte all’alternativa fra salvare le proprie banche con denaro pubblico e lasciarle fallire, scatenando il panico come era accaduto con Lehman Brothers e mettendo in ginocchio l’economia reale, i governi di Stati Uniti, Germania, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio e di molti altri paesi scelsero la seconda strada.
In conseguenza delle dure lezioni così apprese, è iniziato un movimento globale dei regolatori che, a partire dal Financial Stability Board e passando per l’Unione europea, ha portato all’emanazione di un complesso di regole in materia di crisi bancarie ispirate a tre principi:

1) pianificazione: devono essere attentamente pianificate le azioni da intraprendere in caso di crisi:

a) dal lato della banca, mediante “piani di risanamento” da far scattare rapidamente in caso di peggioramento della situazione;

b) dal lato dell’autorità chiamata a gestire l’eventuale dissesto, con “piani di risoluzione”, cioè programmi da mettere in atto qualora la banca cada o stia per cadere a breve in stato di dissesto, finalizzati a consentire un’ordinata gestione della situazione;

2) intervento precoce: in caso di situazione di crisi, ma non ancora di dissesto, devono essere disponibili strumenti di intervento precoce da parte dell’autorità che vigila sulla stabilità della banca;

3) “risoluzione” (termine con cui si indica l’ordinata gestione del dissesto dell’intermediario): in caso di dissesto vero e proprio, devono essere disponibili strumenti che, qualora la liquidazione della banca possa avere un impatto sistemico (cioè avere ripercussioni sull’economia reale), consentano di garantire la continuità delle sue funzioni essenziali senza ricorso, o con un ricorso limitato, a fondi pubblici o ad aiuti esterni.

In quest’ottica, l’Unione europea ha emanato la direttiva 59/2014/UE, detta anche Bank Recovery and Resolution Directive, o BRRD.
La sua attuazione in Italia è avvenuta, con alcuni mesi di ritardo sul termine di recepimento del 31 dicembre 2014, mediante l’emanazione di due decreti legislativi gemelli, i d.lgs. 16 novembre 2015, nn. 180 e 181.

Il d.lgs. 181/2015: l’adeguamento del Testo unico bancario

Il d.lgs. 181/2015 adegua il Testo unico bancario alla direttiva, come segue:

a) impone a tutte le banche di adottare un piano di risanamento, individuale o di gruppo, che individui le misure che la banca intende adottare al fine di riequilibrare la sua situazione patrimoniale e finanziaria qualora in futuro essa subisse un significativo deterioramento (nuovi artt. 69-ter ss.);

b) prevede che le varie entità di un gruppo possano stipulare accordi finalizzati al sostegno finanziario nell’eventualità di una crisi, e che possano comunque prestarsi tale sostegno (nuovi artt. 69-duodecies ss.);

c) prevede penetranti poteri della Banca d’Italia in caso di peggioramento della situazione della banca (c.d. poteri di intervento precoce, ricordati sopra), consistenti nel potere di impartire ai suoi organi l’ordine di attuare le misure del piano di risanamento o di negoziare accordi con i suoi creditori (nuovi artt. 69-noviesdecies ss.), o nel potere di rimuovere i suoi amministratori, organi di controllo o dirigenti apicali (art. 69-vicies-semel);

d) prevede alcuni adeguamenti (non particolarmente significativi) alle procedure di amministrazione straordinaria e liquidazione coatta amministrativa delle banche, già previste dal TUB (rispettivamente, artt. 70 ss. e artt. 80 ss.

Il d.lgs. 180/2015: le nuove regole sulla “risoluzione” delle banche

Il d.lgs. 180/2015 detta invece un complesso di regole del tutto nuove.

Esso prevede in primo luogo che la Banca d’Italia studi la situazione di ogni banca, preparando un piano d’azione definito, come già detto, “piano di risoluzione”, per l’eventualità che essa cada in stato di dissesto (artt. 7 ss.).

Tale piano ha la funzione di consentire alla Banca d’Italia di affrontare la crisi, nel momento in cui dovesse presentarsi, senza essere colta di sorpresa e in modo efficace, in relazione alle peculiarità della singola banca o del singolo gruppo bancario (dimensione, caratteristiche di business, interconnessione con altri intermediari finanziari, ecc.).

Il cuore della normativa, tuttavia, è la disciplina della risoluzione vera e propria (artt. 17 ss.).

Essa prevede che in caso di dissesto di una banca, non superabile in tempi brevi mediante interventi di mercato (aumenti di capitale, dismissioni, ecc.) o azioni di forza (quelle sopra viste, consentite dal TUB), la Banca d’Italia debba, nell’ordine (artt. 20 ss.):

1) svalutare le azioni e gli strumenti di capitale (obbligazioni subordinate), fino a coprire le perdite, e quindi convertire il residuo delle obbligazioni subordinate in capitale fino a ripristinare il patrimonio di vigilanza necessario perché la banca possa operare;

2) qualora ciò non sia sufficiente, effettuare una scelta fondamentale:

a) aprire la procedura di risoluzione, quando ciò sia necessario ad assicurare la continuità delle funzioni essenziali, a tutelare i depositanti e gli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, a ridurre l’onere a carico delle finanze pubbliche (artt. 21);

b) aprire invece la normale procedura di liquidazione coatta amministrativa prevista dal TUB, ogniqualvolta non vi sia pericolo per gli interessi di cui alla precedente lettera a).

La procedura di risoluzione, in sostanza, sottrae la banca in dissesto alla procedura di insolvenza normalmente prevista, e ciò al fine di ridurre il rischio sistemico e i costi per i creditori e per la collettività.

Il punto fondamentale, dunque, è capire quali sono gli strumenti che consentono alla risoluzione di operare più efficientemente della liquidazione coatta amministrativa. Si tratta di strumenti, in larga parte nuovi, che permettono di operare sia sull’attivo e sull’azienda, trasferendoli rapidamente a terzi, sia sul passivo, riducendolo al fine di coprire le perdite e ripristinare il patrimonio necessario perché la banca possa operare.

Essi sono, principalmente:

1) lo strumento della cessione di tutte le attività e le passività, o parte di esse, a terzi o a un ente-ponte, che li rilevano assicurando la continuità dell’attività bancaria;

2) il bail-in, che appunto incide sul passivo, cancellando le azioni, gli strumenti finanziari e i debiti nella misura necessaria per conseguire gli obiettivi della risoluzione.

Con il bail-in, le perdite della banca sono poste a carico dei suoi azionisti e dei suoi creditori, e non a carico di terzi (tipicamente, altre banche o la fiscalità generale). Se ad esempio la banca, per poter operare, deve avere un patrimonio di +10 e ha invece un deficit (cioè ha un attivo inferiore ai debiti) di ‒100:

si eliminano gli azionisti;

si riducono di 100 i diritti dei creditori, secondo il loro ordine di soddisfazione (da quelli subordinati a quelli via via più garantiti), riportando il passivo della banca ad un valore uguale al suo attivo;

– così azzerato il deficit, si converte un’altra parte delle pretese dei creditori (sempre rispettando la gerarchia), facendoli diventare azionisti nella misura necessaria a ripristinare il patrimonio di 10, che occorre alla banca per operare. Se invece la banca ha solo un patrimonio insufficiente, ma non un deficit, allora gli azionisti vengono diluiti ma non eliminati. Si tratta di un salvataggio interno della banca in crisi, contrapposto a quello fatto con i soldi dei contribuenti (che viene comunemente definito bail-out).

Lo strumento dell’ente-ponte è stato immediatamente utilizzato, il 22 novembre 2015, per la risoluzione di quattro banche, trasferendo, nel giro di poche ore, tutte le loro attività (ad eccezione dei crediti in sofferenza) e tutte le loro passività (ad eccezione delle obbligazioni subordinate, cioè le più rischiose), a quattro nuove società.

Il bail-in entrerà invece in vigore dal 1° gennaio 2016.

Altre considerazioni e prospettive future.

Per le banche e i gruppi più grandi dell’Eurozona, assoggettati a vigilanza della BCE, e per tutti i gruppi transnazionali con sedi nell’Eurozona, le nuove regole verranno applicate non dalla Banca d’Italia, ma dal neocostituito Single Resolution Board con sede a Bruxelles. Gran parte delle nuove regole, inoltre, si applicano anche alle SIM e agli altri intermediari finanziari.

L’intervento è tecnicamente complicatissimo, e vi sono poi ulteriori elementi che dovrebbero farlo funzionare a dovere (in primis, il fondo di risoluzione finanziato dalle banche, che mira a fornire risorse alla gestione della crisi, e il fondo di garanzia dei depositi).

Al di là dei dettagli tecnici e dei rilevanti spunti innovativi, occorre tuttavia tentare di individuare gli obiettivi della nuova normativa.

Essi sono in sostanza due:

1) ridurre la possibilità che si verifichi una crisi bancaria. In questo i due decreti legislativi in commento costituiscono solo l’ultimo di una serie di vari interventi che, a questo scopo, hanno incrementato i requisiti patrimoniali perché le banche possano operare, hanno uniformato a livello europeo le regole in materia di valutazioni (ad esempio, dei crediti), hanno accentrato nella BCE la vigilanza delle banche e dei gruppi più significativi dei 19 paesi dell’Eurozona e hanno dotato le autorità di vigilanza dei singoli paesi di incisivi poteri di intervento sull’autonomia delle banche (da ultimo, in Italia, con il d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, che ha modificato il TUB);

2) consentire che, qualora si verifichi, la crisi venga gestita con il minimo impatto per i clienti e i creditori della banca e, possibilmente, senza costi per i contribuenti.

Se tutto questo funzionerà, sarà l’esperienza a dirlo. Non si può tuttavia rimpiangere un passato in cui nessuno subiva perdite dal dissesto di una banca: ciò accadeva, infatti, perché gli sportelli bancari avevano un alto valore di mercato e potevano essere venduti ad altre banche, e perché le risorse mancanti venivano prelevate dai contribuenti, aumentando così il debito pubblico. Queste condizioni non ci sono più: le banche chiudono i propri sportelli, figuriamoci se ne acquistano altri, e il debito pubblico è al limite della sostenibilità.

La conseguenza è che le banche sono divenute imprese (quasi) come le altre, e possono fallire. Quando ciò accade, c’è sempre qualcuno che perde. Le nuove regole cercano di ridurre quella perdita al minimo.

Copyright © – P&P Studio Legale – Riproduzione riservata

Anatocismo: L’ ABF si allinea ai Tribunali di Milano e Roma

Anatocismo: L’ ABF si allinea ai Tribunali di Milano e Roma

Anche il collegio di Coordinamento dell’ABF prende posizione sulla fondamentale questione dell’applicabilità temporale del divieto di anatocismo. In realtà, si tratta di una soluzione che oggi si manifesta tutto meno che inedita.

La stessa anzi si sta decisamente venendo a consolidare nel milieu dell’attuale diritto vivente; più ancora sul fronte giurisprudenziale, per la verità, che nel contesto dottrinario, in cui – a fronte di un orientamento maggioritario fermo su questa posizione – permangono tuttora sacche di resistenza a favore delle banche.

Come noto, l’art. 120, comma 2, del TUB, come modificato dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 ha demandato al CICR il compito di definire “modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:

a) nelle operazioni di conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori;

b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.

Riprendendo espressamente il ragionamento svolto dal Collegio, la legge 27 dicembre 2013, n. 147, vietando l’anatocismo, non ha fatto altro che “normativizzare” un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (ancorchè non condiviso da parte della dottrina).

Del resto, la lettera della norma, al di là di alcune oscurità, depone chiaramente nel senso di imporre, con effetto immediato, il divieto di anatocismo.
L’interpretazione abrogatrice della novella emerge con evidenza dal confronto tra l’incipit del previgente comma 2 dell’art.120 del TUB, che demandava al CICR il compito di stabilire modalità e criteri per la “produzione di interessi sugli interessi” (vale a dire di disciplinare sul piano tecnico l’anatocismo nelle operazioni bancarie) e l’incipit del nuovo comma 2 introdotto dall’art.1, comma 629, della legge n.147/2013 che, in sostituzione della precedente disposizione, demanda al CICR di stabilire modalità e criteri per “la produzione di interessi” (semplici), e non più per la produzione di interessi sugli interessi (i c.d. interessi composti o secondari che sostanziano il fenomeno dell’anatocismo).

L’evidenza della descritta vicenda abrogativa, già desumibile dal dato testuale della legge di stabilità 2014, trova ulteriore riscontro da un lato nella espressa motivazione dell’intervento legislativo, emergente dalla chiara dichiarazione di intenti dei suoi proponenti di “mettere la parola fine a un comportamento riconosciuto illegittimo dalla giurisprudenza, ma costantemente tollerato dal legislatore” (cfr. Relazione alla proposta di legge n.1661 del 2013, condivisa ora dalla Banca d’Italia nel c.d. “Documento per la consultazione”, laddove afferma che l’intenzione del legislatore era di “stabilire l’improduttività degli interessi composti”), e dall’altro dal successivo tentativo, poi abortito, di ripristinare l’anatocismo bancario, portato avanti con la scrittura dell’art. 31 del D.L. 24 giugno 2014, n. 91 (non convertito in legge), laddove, con altrettanta consapevolezza (implicante una sorta di interpretazione autentica della legge di stabilità 27.12.2013, n.147) il legislatore aveva previsto con parallelo incipit di demandare al CICR di stabilire “modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi”.

Si tratta dunque di un classico caso di abrogazione di una disposizione di legge da parte di una disposizione successiva avente pari valore gerarchico (art.15 delle preleggi), nel quale l’interpretazione abrogatrice, già desumibile dal dato testuale, trova puntuale conforto logico nel principio di incompatibilità (non contraddizione) e nel criterio ermeneutico storico – evolutivo.

Da qui, conclude il Collegio, la conseguenza che, se dall’1 gennaio 2014 è caduta la riserva di anatocismo bancario, i relativi effetti hanno cominciato a prodursi contestualmente alla data di entrata in vigore della legge che l’ha determinata.

Copyright © – P&P Studio Legale – Riproduzione riservata

Anatocismo: in consultazione la proposta di delibera CICR

Anatocismo: in consultazione la proposta di delibera CICR

L’art. 120, comma 2, del TUB, il quale disciplina la produzione degli interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, così come riformato dal legislatore con la legge di stabilità 27 dicembre 2013, n. 147, è apparso sin dalla prima lettura una norma involuta che non brilla certo per chiarezza.

Sebbene paia non revocabile in dubbio che attraverso l’attuale e vigente formulazione dell’art. 120, comma 2, del TUB, il legislatore abbia inteso eliminare nei rapporti tra banche e clienti ogni forma di produzione di interessi sugli interessi, sia attivi sia passivi, a fronte di tale importante certezza si sono poste numerose ed altrettanto rilevanti incertezze scaturenti da una formulazione davvero infelice che, riferendosi alle «operazioni di capitalizzazione», sembra comunque in qualche modo consentirla.

L’anatocismo – consentito, a certe condizioni, dall’articolo 1283 del Codice civile – è la pratica seguita dalle banche di calcolare gli interessi sugli interessi e non soltanto sul capitale.
Le Sezioni unite della Cassazione (sentenza 21095/2004) hanno definitivamente dichiarato illegittima questa prassi per il passato, mentre a decorrere dal 2000 era stata legittimata (con Dlgs 342/1999 e delibera Cicr 9/2/2000) purché “gli interessi attivi e passivi siano calcolati con pari periodicità”.

Già nel 2014, il legislatore, attraverso l’art. 31 del d.l. 24 giugno 2014, n. 91, aveva ritenuto di dover “ritornare” sulla stessa norma e di proporre una ulteriore e diversa versione dell’articolo in commento in base alla quale si prevede che il CICR (Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio) stabiliscamodalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni disciplinate ai sensi del presente Titolo”.

Tuttavia, in sede di esame al Senato, l’art. 31 del d.l. 24 giugno 2014, n. 91 veniva soppresso e non riproposto in sede di conversione.

Nell’estate 2014 era stato approvato un ordine del giorno (n. 9/2568-AR/13) in cui il Governo rilevava che “il comma 2 dell’articolo 120 del TUB così come novellato (nel 2013) risulta però di difficile interpretazione e inoltre non prevede una propria disposizione di entrata in vigore, né una specifica disciplina transitoria. Le criticità sulla concreta applicabilità della capitalizzazione degli interessi, dovute al tenore letterale del citato comma, hanno infatti impedito al CICR di emanare la delibera prevista dalla stessa norma”.

Muovendo da tale considerazione, nello stesso ordine del giorno (n. 9/2568-AR/13), approvato nell’estate 2014, il Governo espressamente si “impegnava” ad adottare iniziative legislative in materia di calcolo degli interessi sugli interessi, in modo tale da allineare l’Italia alle prassi internazionali, correggere le incertezze operative e i vuoti di disciplina dovuti alla vigente normativa nonchè ad aumentare la trasparenza dei tassi per i clienti, prevedendo che la produzione degli interessi sugli interessi nelle operazioni in conto corrente o in conto di pagamento (nei limitati casi ammessi dal CICR) non potesse avvenire con periodicità inferiore all’anno.

Nel 2015 si colloca il disegno di legge del 6 marzo 2015, n. 1849 presentato al Senato, con il quale, preso “atto del disallineamento tra la normativa primaria e quella secondaria, circostanza che non consente di determinare in maniera diretta e incontrovertibile se, a tutt’oggi, l’anatocismo debba ritenersi ancora ammesso”, sono state proposte alcune modifiche all’art. 120, comma 2, del TUB e l’introduzione di un espresso regime transitorio secondo cui “fino alla data di entrata in vigore della delibera del CICR prevista dal comma 2 dell’articolo 120 del testo unico bancario, come sostituito dall’articolo 1 della presente legge, continua ad applicarsi la delibera CICR del 9 febbraio 2000, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 43 del 22 febbraio 2000” (cfr. disegno di legge n. 1849 presentato al Senato in data 6 marzo 2015).

Da ultimo, nel mese di luglio 2015, la Banca d’Italia, a seguito di pubblica consultazione, ha pubblicato le nuove disposizioni di vigilanza in tema di “trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari – correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti”, norme che “aggiornano” le disposizioni in tema di trasparenza adottate nel 2009 (Vedi art. pubblicato in data 27 luglio).

In data 25 agosto 2015, sotto l’evidente impulso del moltiplicarsi di sentenze per lo più sfavorevoli al sistema bancario, “reo” di aver continuato a praticare l’anatocismo nonostante il prescritto divieto di addebitare “interessi sugli interessi“, la Banca d’Italia ha posto in consultazione la proposta di delibera CICR di attuazione all’articolo 120, comma 2, del Testo Unico Bancario.

Infatti, pur in assenza della richiesta delibera del CICR, l’anatocismo bancario è vietato dal 1° gennaio 2014.

Così hanno deciso due ordinanze della Sesta sezione del Tribunale di Milano del 25 marzo e del 3 aprile scorso con le quali è stato inibito a tre banche (Banca popolare di Milano, Deutsche Bank e Ing Bank) il calcolo degli interessi del conto corrente anche sugli interessi del trimestre precedente e non soltanto sul capitale.

Nella relazione illustrativa pubblicata assieme allo schema di delibera, Banca d’Italia sottolinea che le soluzioni tecniche adottate, specie con riferimento alla contabilizzazione separata degli interessi, risultano in linea con le prime pronunce della giurisprudenza in materia e che le opzioni interpretative seguite sono state condivise con il ministero dell’economia e delle finanze.

In particolare, nella proposta si afferma che nei contratti di apertura di credito in conto corrente e nei contratti di finanziamenti a valere su carte di credito:

• gli interessi attivi e passivi devono essere conteggiati con la stessa periodicità (comunque non inferiore a un anno);

• il conteggio degli interessi si effettua il 31 dicembre di ciascun anno (o, se anteriore, il giorno in cui termina il rapporto da cui gli interessi si originano);

• gli interessi maturati devono essere contabilizzati separatamente rispetto al capitale, in modo che non ne sia influenzato il calcolo degli interessi dovuti sul capitale;

• gli interessi, sia attivi che passivi, divengono esigibili con il decorso di 60 giorni dal ricevimento da parte del cliente dell’estratto conto o delle comunicazioni di cui rispettivamente all’articolo 119 del Tub e all’articolo 126-quater, comma 1, lettera b) del Tub (fermo restando che il contratto può prevedere termini diversi, ma a favore del cliente);

• decorso il termine di 60 giorni (o quello superiore eventualmente concordato), il cliente può autorizzare l’addebito degli interessi (sul conto o sulla carta di credito).

Tuttavia nella bozza di regolamento messa in consultazione dalla Banca d’Italia non si cancella la prassi di effettuare l’anatocismo e cioè di conteggiare “interessi sugli interessi”, ma la si pospone solamente di 60 giorni.

Invero, decorso il termine di 60 giorni (o quello superiore eventualmente concordato), il cliente può autorizzare l’addebito degli interessi (sul conto o sulla carta di credito) ed in tal modo, la somma addebitata va a far parte del capitale, sul quale si calcolano gli interessi.
Insomma, gli interessi sono sterilizzati per un anno e 60 giorni, dopo di che sono capitalizzati e si ha nuovamente anatocismo.
Come dire “l’anatocismo esce dalla porta ma entra dalla finestra”…

Copyright © ­ – P&P Studio Legale – Riproduzione riservata

Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari

Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari

In data 27 luglio 2015 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 174 del 27 luglio 2015 il Provvedimento di Banca d’Italia del 15 luglio 2015, che modifica alcuni profili contenuti nella disciplina adottata con provvedimento della Banca d’Italia del 29 luglio 2009, e successive modifiche, recante “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti”.
Gli intermediari dovranno adeguarsi alle modifiche apportate con tale provvedimento entro il 1 ottobre 2015.