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Archive for category: Diritto del lavoro

Decreto Sostegni bis. Nuove misure per professionisti ed imprese

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, del 25 maggio 2021, n. 123 il decreto-legge n. 73/21 recante “Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali”.

Il provvedimento, cosiddetto “Sostegni bis“, in vigore dal 26 maggio, si compone di nove titoli: “sostegno alle imprese, all’economia e abbattimento dei costi fissi; misure per l’accesso al credito e la liquidità delle imprese; misure per la tutela della salute; disposizioni in materia di lavoro e politiche sociali; enti territoriali; giovani, scuola e ricerca; cultura; agricoltura e trasporti; disposizioni finali e finanziarie” e stanzia complessivamente circa 40 miliardi di euro.

Sostegno alle imprese, all’economia e abbattimento dei costi fissi

Nello specifico, il provvedimento prevede contributi pari a 15 miliardi di euro a fondo perduto per:

– i soggetti titolari di partita IVA che svolgono attività d’impresa, arte o professione;

– gli enti non commerciali e del terzo settore, senza più alcuna limitazione settoriale.

La misura, in particolare, si articola su 3 componenti:

  • la replica dell’intervento previsto dal decreto Sostegni, con un contributo a fondo perduto per le partite IVA con determinate classi di ricavi, che abbiamo subito un calo del fatturato di almeno il 30% tra il 2019 e il 2020. Il contributo in parola, previsto dal comma 1, spetta nella misura del 100% del contributo riconosciuto ai sensi dell’art. 1 del D.L. n. 41/2021;
  • una seconda componente, dettagliatamente prevista dal comma 5, basata sul calo medio mensile del fatturato nel periodo compreso tra il 1° aprile 2020 e il 31 marzo 2021. I soggetti che hanno fruito del contributo a fondo perduto con il decreto Sostegni possono, in alternativa al contributo di cui al comma 1 (cioè alla ripetizione del contributo ottenuto in base al D.L. n. 41/2021), richiedere un (diverso) contributo a fondo perduto “a condizione che l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo dal 1° aprile 2020 al 31 marzo 2021 sia inferiore almeno del 30 per cento rispetto all’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo dal 1° aprile 2019 al 31 marzo 2020”. Tale contributo, pur essendo alternativo a quello del comma 1, è in qualche modo ad esso complementare, perché a) i soggetti che abbiano beneficiato del contributo previsto dal decreto Sostegni potranno ottenere l’eventuale maggior valore del contributo in parola, se superiore al primo. In tal caso, il contributo già corrisposto o riconosciuto sotto forma di credito d’imposta dall’Agenzia delle Entrate verrà scomputato da quello da riconoscere ai sensi del comma 5; b) se dall’istanza per il riconoscimento del contributo di cui al comma 5 emerge un contributo inferiore rispetto a quello spettante ai sensi del comma 1, l’Agenzia non darà seguito all’istanza stessa;
  • una terza componente, che avrà una finalità perequativa e si concentrerà sui risultati economici dei contribuenti, anziché sul fatturato. Il contributo verrà assegnato sulla base del peggioramento del risultato economico d’esercizio e terrà conto dei ristori e sostegni già percepiti nel 2020 e nel 2021. Tale terza componente, tuttavia, è per ora in stand by essendo subordinata all’autorizzazione della Commissione europea (comma 27).

È ulteriormente previsto:

  • un credito d’imposta per canoni di locazione ed affitto di immobili ad uso non abitativo per i mesi da gennaio a maggio 2021. La medesima misura è prorogata fino a luglio 2021 per le imprese del settore alberghiero e turistico, le agenzie di viaggio ed i tour operator;
  • l’esenzione della Tari per gli esercizi commerciali e le attività economiche colpite dalla pandemia;
  • la proroga fino a luglio 2021 del contributo per il pagamento delle bollette elettriche diverse dagli usi domestici;
  • il differimento per ulteriori 2 mesi, fino al 30 giugno 2021, della sospensione delle attività dell’Agente della Riscossione;

Accesso al credito e liquidità delle imprese

È previsto uno stanziamento di circa 9 miliardi, al fine di garantire l’accesso al credito, sostenere la liquidità e incentivare la capitalizzazione delle imprese, attraverso l’estensione di misure in vigore e l’attuazione di nuovi interventi.

Nello specifico:

  • è stata prevista la proroga al 31 dicembre 2021 delle moratorie sui prestiti, applicata alla sola quota capitale delle esposizioni, ed il prolungamento degli strumenti di garanzia emergenziali previsti dal Fondo di Garanzia per le Pmi e da Garanzia Italia di Sace;
  • nell’ambito del Fondo Pmi, è stato introdotto uno strumento di garanzia pubblica di portafoglio a supporto dei crediti a medio lungo termine per finanziare progetti di ricerca e sviluppo e programmi di investimento di imprese fino a 500 dipendenti;
  • è stato introdotto un contributo di 2 miliardi di euro, per la disciplina dell’ACE (Aiuto alla Crescita Economica) per gli aumenti di capitale fino a 5 milioni di euro, con la possibilità di trasformare il relativo beneficio fiscale in credito d’imposta compensabile per il 2021;
  • è stata estesa ai soggetti con ricavi superiori ai 5 milioni di euro la possibilità di utilizzare in compensazione, nel solo 2021, il credito d’imposta per gli investimenti effettuati nello stesso anno nei cosiddetti beni ‘ex super ammortamento’;
  • è stata introdotta di un’agevolazione fiscale temporanea per favorire gli apporti di capitale da parte delle persone fisiche in start-up e Pmi innovative;
  • è stato innalzato a 2 milioni di euro il limite annuo dei crediti d’imposta compensabili o rimborsabili, per favorire lo smobilizzo dei crediti tributari e contributivi.

Tutela della salute

È previsto un contributo di 2,8 miliardi di euro al fine di rafforzare il sistema sanitario e ridurre le liste di attesa per l’accesso alle prestazioni sanitarie.

Lavoro e politiche sociali

Il decreto prevede nello specifico:

  • il riconoscimento di quattro ulteriori mensilità per il reddito di emergenza (REM);
  • una nuova indennità una tantum per i lavoratori stagionali, del turismo e dello sport che avevano già beneficiato della stessa misura prevista con il decreto “sostegni”;
  • il blocco alla progressiva riduzione dell’indennità prevista con la Naspi;
  • l’estensione al 2021 del contratto di espansione per le imprese con almeno 100 dipendenti e nuove risorse per i contratti di solidarietà;
  • l’introduzione del contratto di rioccupazione, volto a incentivare l’inserimento dei lavoratori disoccupati nel mercato del lavoro;
  • l’istituzione di un fondo da 500 milioni di euro per l’adozione di misure urgenti a sostegno delle famiglie vulnerabili;
  • la preclusione dell’avvio delle procedure di licenziamento per tutta la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021 e la sospensione, nel medesimo periodo, delle procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020.

In altri termini, il divieto di licenziamento è stato prorogato di pari passo con gli ammortizzatori sociali Covid (CIGO, CIGD, FIS e CISOA) istituiti dal 23 febbraio 2020 e via via prorogati dalla normativa emergenziale.

Il divieto di licenziamento proibisce di:

– avviare procedure di licenziamento collettivo;

– recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo “ai sensi dell’art. 3 L. 604/1966”.

Il Decreto Sostegni-bis prevede in buona sostanza che, a partire dal 1° luglio 2021, le aziende che non avranno più necessità di ricorrere alla CIG Covid-19 non saranno più soggette al divieto di licenziamento.

Resta, invece, la possibilità per le imprese di utilizzare la Cassa integrazione ordinaria, anche dal primo di luglio, senza dover pagare le addizionali fino al 31 dicembre 2021, impegnandosi a non licenziare.

Fattispecie in deroga

Il divieto non si applica al ricorrere di una delle seguenti fattispecie:

  • cessazione definitiva dell’attività dell’impresa;
  • cessazione conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa;
  • stipula di un accordo collettivo aziendale, con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, che prevede l’incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro;
  • fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o ne sia disposta la cessazione;

Deroga per gli appalti

Per espressa previsione legislativa, costituisce eccezione l’ipotesi dei lavoratori già impiegati nell’appalto, che siano riassunti a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto. Resta dunque legittima l’ipotesi per cui il personale interessato dal recesso, già impiegato in un appalto, venga riassunto a seguito del subentro di un nuovo appaltatore in forza di disposizioni di legge, contratto collettivo nazionale di lavoro o clausole del contratto di appalto. La ratio della norma è dunque sempre quella di preservare il posto di lavoro.

Fattispecie di licenziamento sempre consentite

Dalle norme emergenziali che si sono susseguite negli ultimi 15 mesi, restano comunque escluse le seguenti fattispecie di recesso unilaterale dal rapporto di lavoro che sono in qualunque momento consentite al datore di lavoro:

  • licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo;
  • licenziamenti per superamento del periodo di comporto;
  • licenziamento entro il termine del periodo di prova;
  • licenziamento per raggiunti limiti di età ai fini della fruizione della pensione di vecchiaia;
  • licenziamento ad nutum del dirigente;
  • licenziamento dei lavoratori domestici;
  • interruzione dell’apprendistato al termine del periodo formativo;
  • interruzione del rapporto con l’ex socio di una cooperativa di produzione e lavoro, in caso di precedente risoluzione del rapporto associativo (in base alle disposizioni statutarie o regolamentari in vigore).

Giovani, scuola e ricerca

Sono previste:

  • agevolazioni fiscali per l’acquisto della casa per i giovani, con un ISEE fino a 40.000 euro;
  • il potenziamento del Fondo Gasparrini (Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto per la prima casa) e del Fondo di Garanzia prima casa, portando la percentuale di copertura della garanzia dal 50 all’80%;
  • altre risorse per l’acquisto di beni e servizi finalizzati a contenere il rischio epidemiologico in vista dell’anno scolastico 2021-22, per l’adeguamento degli spazi e delle aule e per potenziare i centri estivi diurni.

Misure di carattere settoriale

Ulteriori e specifiche risorse sono state, inoltre, stanziate per sostenere

  • i trasporti, la cultura, lo spettacolo, l’agricoltura, gli aeroporti, lo spettacolo e i cinema, le istituzioni culturali e i musei.
CIGS per imprese in fallimento e procedura concorsuale

CIGS per imprese in fallimento e procedura concorsuale

Con Circolare n. 24 del 26 luglio 2016, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha fornito nuovi chiarimenti riguardo la possibilità per le imprese soggette a procedura concorsuale, con esercizio provvisorio volto alla cessione di attività, di richiedere per i propri dipendenti il trattamento straordinario di integrazione salariale.

La presente Circolare di cui si riporta qui di seguito il testo, integra la Circolare n. 1 del 22 gennaio 2016.

In riscontro ad ulteriori e diversi quesiti presentati alla Direzione Generale degli Ammortizzatori sociali e incentivi all’occupazione, concernenti la richiesta di chiarimenti in merito alla possibilità per le imprese soggette a fallimento, con esercizio provvisorio volto alla cessione di attività, e in concordato con continuità aziendale di richiedere per i propri dipendenti il trattamento straordinario di integrazione salariale, si rappresenta quanto segue. 

In primo luogo, ferme restando le indicazioni generali già fornite con la circolare n. 1 del 22 gennaio 2016, si ritiene possibile la fruizione del trattamento di CIGS – per la causale di crisi aziendale ex articolo 21, lett. b), del D.lgs n. 148/2015 – per quei lavoratori dipendenti di imprese soggette a fallimento, con esercizio provvisorio volto alla cessione di attività, al fine di mantenere il più possibile integro il complesso aziendale sia in termini dimensionali che di capacità di reddito.

Ove, dunque, – il giudice delegato o l’autorità che esercita il controllo autorizzi l’esercizio provvisorio dell’impresa per salvaguardare il complesso aziendale e per favorire, alle migliori condizioni, la cessione dell’attività, – nel programma di liquidazione di cui all’articolo 104-ter della legge fallimentare si dia conto in modo circostanziato delle concrete ragioni per le quali appare probabile la cessione unitaria dell’azienda o di singoli rami in tempi compatibili con il godimento della cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi – e il comitato dei creditori approvi specificamente la valutazione sulle probabilità di cessione espresse dal curatore, è ravvisabile la possibilità di sostenere i lavoratori sospesi con l’intervento dell’integrazione salariale.

Qualora, pertanto, sussistendo le predette condizioni, l’impresa sottoposta a fallimento presenti un programma di crisi aziendale, ove il piano di risanamento è volto alla concreta e rapida cessione dell’azienda o di parte di essa con il trasferimento dei lavoratori, la stessa può essere ammessa al trattamento di CIGS.

Quanto al concordato con continuità aziendale, in cui il piano di concordato prevede, ai sensi dell’articolo 186-bis della legge fallimentare, la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore o la cessione dell’azienda o il suo conferimento in una o più società anche di nuova costituzione, qualora l’impresa presenti un programma di crisi aziendale in cui il piano di risanamento è volto, appunto, alla concreta e rapida cessione dell’azienda o di parte di essa con il trasferimento dei lavoratori ed il concordato sia omologato, la stessa può essere ammessa al trattamento di CIGS.

Nelle suddette ipotesi, in effetti, il programma di liquidazione o il piano di concordato articolati in modo da garantire nell’arco del periodo di fruizione della CIGS autorizzata ai sensi dell’articolo 21, lett. b), del D.lgs n. 148/2015 per dodici mesi la cessione del complesso aziendale o di una sua parte, mirano alla salvaguardia dei livelli occupazionali e alla continuazione in tutto o in parte dell’attività svolta pur se da soggetto terzo e diverso rispetto al richiedente l’intervento di CIGS“.

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Licenziamento Disciplinare nella P.A. Approvato il D.Lgs.

Licenziamento Disciplinare nella P.A. Approvato il D.Lgs.

Nel corso del Consiglio dei Ministri n. 120 del 15 giugno 2016, sulla base delle delega contenuta nell’articolo 17, comma 1, lettera s) della legge 7 agosto 2015, n. 124, il Governo ha approvato definitivamente il tanto atteso decreto legislativo recante modifiche all’articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 in materia di licenziamento disciplinare.

Ecco i punti di intervento del decreto:

a) Falsa attestazione della presenza in servizio: al dipendente colto in flagrante sarà applicata la sospensione cautelare entro 48 ore e attivato il procedimento disciplinare che dovrà concludersi entro 30 giorni. Prevista la responsabilità disciplinare del dirigente che non proceda alla sospensione e all’avvio del procedimento. Nella fattispecie di falsa attestazione della presenza in servizio è compreso anche la condotta realizzata mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento;

b) Viene garantito al dipendente il diritto alla percezione di un assegno alimentare durante il periodo di sospensione cautelare dal lavoro;

c) Il dipendente sarà convocato per il contraddittorio con preavviso di almeno 15 giorni e potrà farsi assistere da un procuratore o da un rappresentante sindacale;

d) Responsabilità per omessa attivazione del procedimento disciplinare e omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare per il dirigente nei casi in cui il dirigente abbia avuto notizia dell’illecito e non si sia attivato senza giustificato motivo.

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Cassa Integrazione Salariale Ordinaria. In G.U. il decreto attuativo

Cassa Integrazione Salariale Ordinaria. In G.U. il decreto attuativo

Approda nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 137 del 14 giugno 2016, il Decreto del Ministero del Lavoro, emanato lo scorso 15 aprile, che definisce i criteri per l’approvazione dei programmi di cassa integrazione salariale ordinaria.

In attuazione del d.lgs. n. 148/2015, infatti, il d.m. stabilisce che a decorrere dal 1° gennaio 2016 la CIGO è concessa per le seguenti causali:
– situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti, incluse le intemperie stagionali;
– situazioni temporanee di mercato.

Le singole fattispecie che integrano le causali di intervento.

Disciplinate, oltre all’esame delle domande, le singole fattispecie che integrano le causali di intervento, ovvero:
– mancanza di lavoro o di commesse e crisi di mercato
– fine cantiere, fine lavoro, fine fase lavorativa, perizia di variante e suppletiva al progetto
– mancanza di materie prime o componenti
– eventi meteo
– sciopero di un reparto o di altra impresa
– incendi, alluvioni, sisma, crolli, mancanza di energia elettrica – impraticabilità dei locali, anche per ordine di pubblica autorità – sospensione o riduzione dell’attività per ordine di pubblica autorità per cause non imputabili all’impresa o ai lavoratori
– guasto ai macchinari – manutenzione straordinaria.

Ammortizzatori sociali in deroga. Chiarimenti dal Ministero

Ammortizzatori sociali in deroga. Chiarimenti dal Ministero

Pubblicata la Circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 4 del 2 febbraio 2016 recante chiarimenti in merito al raccordo tra la vigente normativa in materia di ammortizzatori sociali in deroga, con riferimento al decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015, la legge n. 208 del 28 dicembre 2015 e il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze n. 83473 del 1 agosto 2014.

1) Quadro normativo

Il decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015, recante “Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, di seguito decreto legislativo n.148 del 2015, contiene la nuova disciplina in materia di integrazione salariale ordinaria e straordinaria e in materia di fondi di solidarietà.

Il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze n. 83473 del 01 agosto 20014, disciplina, invece, i criteri di concessione degli ammortizzatori sociali in deroga, sia in costanza che in caso di cessazione del rapporto di lavoro.

Le due discipline, quindi, non si sovrappongono ma sono tra loro complementari in quanto gli ammortizzatori in deroga intervengono nei casi non previsti dalla legislazione vigente (decreto legislativo n. 148 del 2015), allo scopo di fornire tutela a lavoratori che altrimenti ne sarebbero privi.

Acquisito il parere dell’Ufficio Legislativo prot. n. 532 del 28 gennaio 2016, con la presente circolare si forniscono le indicazioni e i chiarimenti operativi in merito alla disciplina degli ammortizzatori sociali in deroga, alla luce delle recenti novità normative.

2) Lavoratori beneficiari

a) Anzianità aziendale

Il comma 1 dell’articolo 2 del decreto interministeriale n.83473 del 01.08.2014 indica i requisiti soggettivi per accedere ai trattamenti di integrazione salariale in deroga.

In particolare, nel far riferimento ai lavoratori destinatari del trattamento, il suddetto decreto stabilisce che, per l’annualità 2015, l’integrazione salariale in deroga può essere concessa o prorogata ai lavoratori subordinati con la qualifica di operaio, impiegati e quadri, ivi compresi gli apprendisti e i lavoratori somministrati, subordinatamente al conseguimento di un’anzianità lavorativa presso l’impresa di almeno dodici mesi alla data di inizio del periodo di intervento.

Il decreto interministeriale n.83473 citato, detta una disciplina a carattere complementare rispetto a quanto previsto dall’art.1, comma 2, del D.Lgs n.148 del 2015, che, invece, stabilisce un’anzianità lavorativa di 90 gg di lavoro effettivo dalla data di presentazione della domanda di concessione del trattamento di integrazione salariale.

Si conferma pertanto, che, salvo quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 6 del D.I. n. 83473 citato, il requisito soggettivo per accedere ai trattamenti di cassa integrazione in deroga è di dodici mesi di anzianità dalla data di assunzione presso l’azienda che presenta la domanda, come previsto dal suddetto decreto.

b) Apprendisti

Gli articoli 1 e 2 del D.Lgs n.148 del 2015 prevedono che i destinatari dell’intervento di cassa integrazione siano i lavoratori con contratto di lavoro subordinato, ivi compresi gli apprendisti assunti con contratto professionalizzante.

Conseguentemente tale tipologia di apprendisti è destinataria di:

– Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria, se dipendenti di imprese per le quali trovano applicazione le sole integrazioni salariali straordinarie, limitatamente alla causale di intervento “crisi aziendale”;

– Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria se dipendenti di imprese nei casi in cui le stesse rientrino nel campo di applicazione sia delle integrazioni salariali ordinarie sia di quelle straordinarie, oppure delle sole integrazioni salariali ordinarie;

– Cassa Integrazione Guadagni in Deroga se dipendenti di imprese per le quali trova applicazione la sola disciplina delle integrazioni salariali straordinarie, destinatarie di CIGS, ma per causale di intervento diversa dalla “crisi aziendale”.

Parallelamente, gli apprendisti non titolari di contratto professionalizzante nonché gli apprendisti assunti con contratto professionalizzante nei casi in cui non ricorrano i presupposti di cui agli artt. 1 e 2 del D.lgs 148 citato sono destinatari di Cassa Integrazione Guadagni in deroga.

3) Contributo Addizionale

L’articolo 5 del D.Lgs n.148 del 2015 ha introdotto una nuova disciplina per il contributo addizionale a carico delle imprese che presentano domanda di integrazione salariale.

In particolare, viene prevista una misura progressiva per il contributo addizionale pari:

  • al 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, relativamente ai periodi di integrazione salariale ordinaria e straordinaria fruiti all’interno di uno o più interventi concessi sino ad un limite complessivo di 52 settimane in un quinquennio mobile;
  • al 12% oltre al limite di 52 e sino a 104 settimane in un quinquennio mobile e del 15% oltre al limite di 104 settimane in un quinquennio mobile.

Considerando che, relativamente al contributo addizionale, il sopracitato decreto interministeriale nulla dispone e che, correlativamente, l’articolo 46, comma 1, lett. l) del D.Lgs 148 del 2015 ha abrogato l’art.8, commi da 1 a 5, e 8 del D.L. 21 marzo 1988, n.86, convertito con modificazioni dalla legge 20 maggio 1988, n.160, tale nuova disciplina, introdotta da una fonte primaria, trova applicazione per tutte le tipologie di cassa integrazione, ivi compresa la cassa integrazione in deroga.

4) Modalità di erogazione e termine per il rimborso delle prestazioni

Il comma 3 dell’articolo 7 del D.Lgs n.148 del 2015 stabilisce che “il conguaglio o la richiesta di rimborso delle integrazioni corrisposte ai lavoratori debbano essere effettuati, a pena decadenza,  entro 6 mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata della concessione o dalla data del provvedimento di concessione, se successivo.

Per i trattamenti conclusi prima dell’entrata in vigore del presente decreto, i sei mesi di cui al precedente periodo decorrono da tale data”.

Considerando che, relativamente alle modalità di erogazione e al termine per il rimborso delle prestazioni, il sopracitato decreto interministeriale nulla dispone, tale nuova disciplina, introdotta da una fonte primaria, trova applicazione per tutte le tipologie di cassa integrazione, ivi compresa la cassa integrazione in deroga.

5) Termini presentazione della domanda

Per quanto attiene ai trattamenti di integrazione salariale in deroga, il comma 7 dell’articolo 2 del D.I. n.83473 citato prevede che “L’azienda presenta, in via telematica, all’Inps e alla Regione, la domanda di concessione o proroga del trattamento di integrazione salariale in deroga alla normativa vigente, corredata dall’accordo, entro venti giorni dalla data in cui ha avuto inizio la sospensione o la riduzione dell’orario di lavoro. In caso di presentazione tardiva della domanda, il trattamento di CIG in deroga decorre dall’inizio della settimana anteriore alla data di presentazione della domanda”.

Il comma 2 dell’articolo 15 e il comma 1 dell’articolo 25 del D.Lgs n.148 del 2015 stabiliscono i termini di presentazione delle domande, rispettivamente di 15 giorni dall’inizio della sospensione o riduzione dell’attività lavorativa per i trattamenti di Cassa Integrazione Ordinaria e di 7 giorni dalla data di conclusione della procedura di consultazione sindacale o dalla data di stipula dell’accordo aziendale per la Cassa Integrazione Straordinaria, oltre alla decorrenza della sospensione non prima del trentesimo giorno dalla data di presentazione della domanda.

Considerato che il disposto dell’articolo 2, comma 7, del Decreto Interministeriale n.83473 del 01 agosto 2014 ha natura di norma complementare come sopra chiarito, resta confermata, in relazione ai termini di presentazione delle domande per i trattamenti di integrazione salariale in deroga, la disciplina ivi contenuta.

6) Trattamento di Fine Rapporto

Per quanto riguarda il trattamento di integrazione salariale in deroga, e il rimborso delle quote di T.F.R. maturate durante il periodo “ininterrotto” di sospensione dal lavoro seguito dalla risoluzione del rapporto di lavoro stesso, si precisa che non può essere rimborsato dall’INPS. Infatti, la  condizione di sospensione dal lavoro per intervento della cassa integrazione guadagni in deroga non rientra in alcuna fattispecie normativa che ne preveda l’indennizzo, essendo la relativa prestazione finanziata da risorse di natura non contributiva.

Pertanto, anche nell’ipotesi in cui sopravvenga la risoluzione del rapporto di lavoro, dopo un periodo di CIG in deroga fruito dal lavoratore senza soluzione di continuità rispetto alla fine del periodo d’intervento di cassa integrazione salariale straordinaria, sono erogabili a carico della Cassa integrazione guadagni solo le quote di TFR maturate durante il periodo di intervento di integrazione salariale straordinaria.

Conseguentemente, la corresponsione delle quote di TFR maturate durante il periodo di intervento di integrazione salariale in deroga resta a carico del datore di lavoro.

7) Legge di Stabilità 2016

Il comma 304 dell’articolo 1 della Legge n. 208 del 28 dicembre 2015, recante “ Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” (Legge di stabilità per l’anno 2016), dispone un incremento, per l’anno 2016, di 250 milioni di euro per il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, dettando, nel contempo, disposizioni per la concessione e/o la proroga del trattamento di integrazione salariale e di mobilità in deroga, a decorrere dal 1 gennaio 2016 e fino al 31 dicembre 2016:

– il trattamento di integrazione salariale in deroga, fermo restando, quanto disposto dall’articolo 2 del D.I. n.83473 del 1 agosto 2014, che disciplina le condizioni in presenza delle quali può essere concessa la CIG in deroga, può essere concesso o prorogato per un periodo non superiore a tre mesi nell’arco di un anno;

– il trattamento di mobilità in deroga alla vigente normativa, a parziale rettifica di quanto stabilito dall’art.3, comma 5, del D.I. n.83473 del 1 agosto 2014, non può essere concesso ai lavoratori che alla data di decorrenza del trattamento abbiano già beneficiato di prestazioni di mobilità in deroga per almeno tre anni, anche non continuativi. Per i restanti lavoratori il trattamento può essere concesso per non più di quattro mesi, non ulteriormente prorogabili, più ulteriori due mesi nel caso di lavoratori residenti nelle aree di cui al T.U. approvato con D.P.R. n.218/1978. Per tali lavoratori il periodo concedibile, non può, comunque, eccedere il periodo di tre anni e quattro mesi.

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Statuto del lavoratore autonomo e lavoro agile

Statuto del lavoratore autonomo e lavoro agile

Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha approvato, nella seduta dello scorso 28 gennaio, un disegno di legge recante “misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.

L’ambito di applicazione dell’intervento normativo (art. 1) denuncia infatti proprio tale caratteristica: le nuove guarentigie si applicano ai «rapporti di lavoro autonomo di cui al Titolo III del Libro V del codice civile» e non agli imprenditori, anche se piccoli, di cui all’art. 2083 cod. civ. (salvo che per alcune disposizioni specifiche: gli artt. 8 e 9 del d.l.).

La prima parte del provvedimento detta disposizioni in materia di lavoro autonomo con l’obiettivo di costruire per tali lavoratori, prestatori d’opera materiali e intellettuali non imprenditori, un sistema di diritti e di welfare moderno capace di sostenere il loro presente e di tutelare il loro futuro.

Le principali misure riguardano:

• l’estensione al lavoratore autonomo, a condizioni di compatibilità, della disciplina (d.lgs. 231/2002) in tema di transazioni commerciali (quanto ai termini di pagamento ed alla misura degli interessi);

• la previsione di agevolazioni fiscali, consistenti

a) nella deducibilità nella misura del 100%, delle spese sostenute per i servizi personalizzati di certificazione delle competenze, orientamento, ricerca e sostegno all’auto-imprenditorialità finalizzate all’inserimento o reinserimento del lavoratore autonomo nel mercato del lavoro;

b) nella misura del 100%, entro il limite annuo di 10.000 euro, delle spese sostenute dal lavoratore per la partecipazione a convegni, congressi e corsi di aggiornamento;

c) e in misura integrale delle spese per gli oneri sostenuti per la garanzia contro il mancato pagamento delle prestazioni di lavoro autonomo fornita da forme assicurative o di solidarietà, allo scopo di favorire la stipula di tali polizze, e favorendo, allo stesso tempo, lo sviluppo del mercato assicurativo e la diffusione di tali forme assicurative, con un conseguente abbattimento dei costi per il lavoratore autonomo. Con tale meccanismo assicurativo che assicuri il professionista contro questo rischio, in pratica, il Governo spinge il mercato assicurativo a costruire nuovi elementi di tutela, per cui un lavoratore autonomo che investe in una forma assicurativa contro il rischio che il cliente non gli paghi una fattura possa poi dedurne il costo sul piano fiscale;

• la parificazione dei lavoratori autonomi ai piccoli imprenditori ai fini dell’accesso ai PON e ai POR a valere sui fondi strutturali europei;

• il riconoscimento del diritto di percepire l’indennità di maternità spettante per i due mesi antecedenti la data del parto ed i tre mesi successivi, indipendentemente dalla effettiva astensione dall’attività lavorativa;

• l’estensione della durata e dell’arco temporale entro il quale tali lavoratori possano usufruire dei congedi parentali, prevedendo che l’indennità per congedo parentale possa essere corrisposta per un periodo massimo di sei mesi entro i primi tre anni di vita del bambino;

• la previsione della sospensione, senza diritto al corrispettivo, del rapporto di lavoro dei lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il committente in caso di gravidanza, malattia e infortunio, per un periodo non superiore a 150 giorni per anno solare;

• la sospensione del versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi per l’intera durata della malattia e dell’infortunio fino ad un massimo di 2 anni, in caso di malattia e infortunio di gravità tale da impedire lo svolgimento dell’attività lavorativa per oltre 60 giorni;

• la previsione di una specifica misura di tutela contro la malattia in base alla quale, i periodi di malattia certificata come conseguente a trattamenti terapeutici di malattie oncologiche, sono equiparati alla degenza ospedaliera.

Il disegno di legge non estende ai lavoratori autonomi – come appariva in una precedente versione del progetto – la possibilità di fruire del rito del lavoro. Sul piano processuale si limita infatti ad estendere la previsione di cui all’art. 634, comma 2 cod. proc. civ., secondo cui possono costituire prova scritta, al fine di ottenere un decreto ingiuntivo, anche le scritture contabili dei lavoratori autonomi. Contiene però una interessante previsione che modifica l’art. 409, n. 3 cod. proc. civ., introducendo una nuova definizione di lavoro para-subordinato.

Infine il titolo II del progetto di legge introduce disposizioni in materia di lavoro agile c.d. “smart working”.

Viene infatti definito come una «modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato allo scopo di incrementare la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro». Più in concreto le modalità di esecuzione contemplano la possibilità di alternare il lavoro all’interno dei locali aziendali e il lavoro all’esterno, di utilizzare strumenti tecnologici, senza l’impiego di una postazione fissa di lavoro quando l’attività è svolta fuori dei locali aziendali.

Il contratto – che può essere a termine o a tempo indeterminato – va stipulato in forma scritta a pena di nullità e deve contenere la disciplina delle modalità di esecuzione della prestazione all’esterno, ivi comprese le forme di esercizio dei poteri direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, nel rispetto dell’art. 4 dello statuto dei lavoratori.

Al lavoratore «agile» spetta un trattamento non inferiore a quello complessivamente applicato al lavoratore “interno”.

Il datore di lavoro deve adottare misure idonee a tutelare la riservatezza del lavoratore e, per converso, quest’ultimo deve custodire con diligenza gli strumenti di lavoro. Il datore deve altresì garantire la sicurezza del lavoratore e quest’ultimo deve cooperare nell’attuazione delle misure relative.

Non è del tutto chiara la disciplina del recesso.

All’art. 14, comma 2 del disegno di legge si legge infatti che «in presenza di un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine in caso di accordo a tempo determinato o senza preavviso nel caso di rapporto a tempo indeterminato».

Si tratterebbe quindi di un rapporto di lavoro subordinato del tutto sottratto, quanto alla disciplina del licenziamento, anche alla pur blanda disciplina di cui al contratto a tutele crescenti.

In particolare è previsto che:

• il lavoratore che presta l’attività di lavoro subordinato in modalità agile ha diritto di ricevere un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato ai lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda;

• gli incentivi di carattere fiscale e contributivo eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato, siano applicati anche quando l’attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile;

• il datore di lavoro garantisce al lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile il rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza.

Si tratta di un provvedimento che il Governo, dopo l’approvazione del Jobs Act e la riforma delle collaborazioni coordinate e continuative, concepisce per regolamentare, in maniera unitaria, anche il settore delle Partite Iva. Il Ddl sul lavoro autonomo costituisce il primo testo, per l’Italia, specificatamente dedicato ai rapporti di lavoro che divergono dal lavoro subordinato e dalle collaborazioni esterne.

Si attende, adesso, un percorso parlamentare particolarmente spedito dato che il disegno varato dal CdM seguirà il medesimo iter della Legge di stabilità.

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In Gazzetta il decreto su dimissioni e risoluzione del rapporto di lavoro

In Gazzetta il decreto su dimissioni e risoluzione del rapporto di lavoro

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 7 del 11 gennaio 2016 il decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali recante “modalità di comunicazione delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro”.

Più dettagliatamente, il decreto, in attuazione di quanto previsto dall’art. 26, comma 3, del decreto legislativo n. 151 del 2015, definisce i dati contenuti nel modulo di cui all’allegato A al decreto, reso disponibile ai lavoratori e ai soggetti abilitati nel sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e la loro revoca e gli standard e le regole tecniche per la compilazione del modulo e per la sua trasmissione al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente,.

La procedura per la trasmissione del modulo per le dimissioni/risoluzione consensuale e loro revoca, garantisce, in particolar modo:

  • il riconoscimento certo del soggetto che effettua l’adempimento (verifica dell’identità);
  • l’attribuzione di una data certa di trasmissione alla comunicazione (marca temporale);
  • la revoca della comunicazione entro sette giorni dalla data di trasmissione;
  • l’intervento di un soggetto abilitato a supporto del lavoratore per l’esecuzione delle operazioni di trasmissione e revoca.

La procedura proposta può essere scomposta in tre macro fasi:

  • nella prima fase, il lavoratore, se non assistito da un soggetto abilitato, deve:
  1. richiedere, se ancora non in suo possesso, il codice PIN I.N.P.S. all’Istituto;
  2. creare un’utenza, se ancora non in suo possesso, per l’accesso al portale ClicLavoro.

Solo dopo aver soddisfatto entrambi i vincoli o nel caso in cui scegliesse di essere assistito da un soggetto abilitato, potrà procedere con le successive attività;

  • nella seconda fase il lavoratore, in autonomia o con l’assistenza di un soggetto abilitato può accedere tramite il portale lavoro.gov.it:
  1. al form on-line per la trasmissione della comunicazione;
  2. alla pagina di ricerca e selezione di una comunicazione, per l’invio di una revoca;
  • nell’ultima fase si procederà:
  1. nel caso di adempimento eseguito con il supporto di un soggetto abilitato: alla firma digitale del modulo prodotto con i dati delle dimissioni/risoluzione consensuale o revoca degli stessi;
  2. alla trasmissione del modulo di dimissioni/risoluzione consensuale/revoca al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente.

In particolare, il datore di lavoro riceverà il modulo nella propria casella di posta elettronica certificata e la Direzione territoriale del lavoro riceverà una notifica nel proprio cruscotto e avrà la possibilità di visionare il modulo.

Un aspetto importante riguarda la verifica dell’identità del soggetto che effettua l’adempimento.

Questo controllo, necessario al fine di prevenire dimissioni o risoluzioni poste in essere da soggetti diversi dal lavoratore, poggia sull’applicazione del seguente vincolo: l’accesso alle funzionalità, è possibile solo se l’utente è in possesso del codice personale I.N.P.S. (PIN I.N.P.S.), il cui possesso, in ogni caso, non sostituisce le credenziali ClicLavoro, ma si aggiunge allo scopo di conferire un maggior livello di sicurezza al riconoscimento.

 La richiesta di emissione del PIN deve essere inoltrata all’I.N.P.S., accedendo al portale I.N.P.S.it e attenendosi alla procedura per il rilascio del PIN.

 Il possesso dell’utenza ClicLavoro e del PIN I.N.P.S. non sono necessari nel caso in cui la trasmissione del modulo venga eseguita per il tramite di un soggetto abilitato (art. 26, comma 4, del decreto legislativo n. 151 del 2015) che utilizza la propria utenza ClicLavoro per accedere alle funzionalità e quindi assumersi la responsabilità dell’accertamento dell’identità del lavoratore che richiede la trasmissione del modulo attraverso la firma digitale del file PDF prodotto con i dati comunicati per le dimissioni/risoluzione consensuale e per la loro revoca e il salvataggio di questo nel sistema informatico SMV.

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Jobs Act: in Gazzetta gli ultimi 4 decreti legislativi

Jobs Act: in Gazzetta gli ultimi 4 decreti legislativi

Pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale – n. 221 del 23 settembre 2015 i restanti quattro decreti attuativi del Jobs Act. Si completa, così, il percorso previsto dalla legge delega di riordino della normativa riguardante il mondo del lavoro.

DECRETO LEGISLATIVO 14 settembre 2015, n. 148
Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183. (15G00160) (Suppl. Ordinario n. 53);

DECRETO LEGISLATIVO 14 settembre 2015, n. 149
Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183. (15G00161) (Suppl. Ordinario n. 53);

DECRETO LEGISLATIVO 14 settembre 2015, n. 150
Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183. (15G00162) (Suppl. Ordinario n. 53);

DECRETO LEGISLATIVO 14 settembre 2015, n. 151
Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183. (15G00164) (Suppl. Ordinario n. 53)

Tutti e quattro i decreti entrano in vigore dal giorno della loro pubblicazione, ma saranno necessari altri decreti ministeriali e passaggi amministrativi affinché le riforme previste si completino.

Nel caso degli ammortizzatori sociali, sono di immediata applicazione le nuove aliquote contributive; in materia di semplificazioni si dovranno rispettare da subito le disposizioni relative ai controlli a distanza; le disposizioni riguardanti le politiche attive del lavoro e il riordino dell’attività ispettiva non sono di portata immediata.

Diamo conto qui di seguito delle più significative novità introdotte nell’ordinamento in materia di semplificazioni e servizi per l’impiego.

A) IL DECRETO SULLE “SEMPLIFICAZIONI”

Il decreto si pone l’obiettivo di razionalizzare e semplificare le procedure per le imprese sia sul piano degli adempimenti formali che su quello della gestione del rapporto di lavoro.

• Parecchio rumore ha generato la modifica dell’art. 4 dello statuto dei lavoratori in materia di controlli a distanza, modifica che si basa sulla previsione di cui all’art. 1, 7° co., lett. f) della legge di delegazione n. 183 del 2014.
La disposizione originaria vietava al datore di lavoro l’adozione di «impianti audiovisivi» e di «altre apparecchiature» che consentissero il controllo a distanza, tranne che fossero richiesti da esigenze organizzative e/o produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro. In tal caso la loro installazione ed il loro impiego doveva essere oggetto di accordo con le R.S.A. (rappresentanze sindacali aziendali) o, in mancanza, con la commissione interna.
Il nuovo testo dell’art. 4 s.l., come sostituito dall’art. 23 del decreto, ribadisce anzitutto che gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere installati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, previo accordo collettivo stipulato dalla r.s.u. o dalle r.s.a.
In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo essi possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del ministero del lavoro.
Come già si riteneva in passato, vale ovviamente nei confronti del provvedimento amministrativo la possibilità di ricorso dapprima amministrativo e successivamente giurisdizionale.
La novità del provvedimento sta però nella circostanza che l’accordo e l’autorizzazione non sono richiesti per gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e per gli strumenti di registrazione degli accessi e delle uscite (purché ovviamente non abbiano la funzione di un surrettizio controllo a distanza). Ne deriva che l’affidamento al lavoratore di strumenti oggi molto diffusi, che siano necessari per lo svolgimento dell’attività di lavoro, come gli smartphone o i tablet, non ha bisogno di alcune preventiva autorizzazione amministrativa o di accordo sindacale.
Ma vi è di più e di più rilevante e cioè che le informazioni raccolte attraverso tali ultimi strumenti ben possono essere utilizzate dal datore di lavoro (anche a fini disciplinari), purché venga data al lavoratore adeguata informazione delle loro modalità d’uso e di effettuazione dei controlli e pur sempre nel rispetto della disciplina sulla c.d. privacy (di cui al d.lgs. n. 196 del 2003).

• Anche la materia delle dimissioni del lavoratore, già oggetto di vari interventi legislativi recenti, da ultimo con la legge n. 92 del 2012 (c.d. riforma Monti), ha subito ulteriori aggiustamenti. Si ricorderà che lo scopo del legislatore è quello di accertare la genuinità delle dimissioni rassegnate dal lavoratore, combattendo la prassi delle cc.dd. “dimissioni in bianco”, sottoscritte dal lavoratore al momento dell’assunzione e fatte valere dal datore di lavoro a propria discrezione. La nuova disposizione (art. 26) contiene una più puntuale articolazione della procedura, non mancando peraltro di rinviare ad un decreto del ministro del lavoro che dovrà stabilire i dati di identificazione del rapporto di lavoro da cui si intende recedere o che si intende risolvere, i dati di identificazione del datore di lavoro e del lavoratore, le modalità di trasmissione nonché gli standard tecnici per definire la data certa di trasmissione. In primo luogo fa salve le dimissioni della lavoratrice regolate dall’art. 55, 4° comma 4, del d.lgs. n. 151 del 2001, alle quali dunque non si applica la nuova procedura. Nel merito precisa che le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro devono essere fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal ministero del lavoro, con le modalità individuate dal decreto ministeriale di cui si è detto. Entro sette giorni dalla data di trasmissione del modulo il lavoratore ha la facoltà di revocare le dimissioni e la risoluzione consensuale con le medesime modalità. La trasmissione dei moduli può avvenire anche per il tramite dei patronati e delle organizzazioni sindacali nonché degli enti bilaterali e delle commissioni di certificazione. Inoltre la legge chiarisce che quanto già era enucleabile in via interpretativa e cioè che le dimissioni o la risoluzione consensuale che facciamo corpo con una conciliazione sottoscritta nelle sedi che la rendono inoppugnabile (ex art. 2113 o davanti alle commissioni di certificazione) non hanno bisogno di soggiacere alla procedura confermativa della volontà del lavoratore.
È importante notare che la disciplina descritta non è immediatamente applicabile. Essa infatti troverà applicazione a far data dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di determinazione delle procedure attuative.

• Per quanto concerne il sistema del collocamento una delle semplificazioni consiste nella previsione secondo cui il libro unico del lavoro dal 2017 dovrà essere redatto in forma telematica. Nella stessa logica con l’art. 16 del decreto è stato previsto che tutte le comunicazioni in materia di rapporti di lavoro, collocamento mirato, tutela delle condizioni di lavoro, incentivi, etc. devono effettuarsi esclusivamente in via telematica. Quanto alle sanzioni per l’omessa comunicazione si è prevista la possibilità di una sorta di sanatoria in caso di omessa denuncia preventiva di assunzione. Infatti a tale situazione – con l’eccezione dell’impiego di lavoratori stranieri o di minori – si applica la procedura di diffida di cui all’articolo 13 del d.lgs. 23 aprile 2004, n. 124. Il datore di lavoro può vedere ridotte le sanzioni se procede alla regolarizzazione dei relativi rapporti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (anche a tempo parziale con riduzione dell’orario di lavoro non superiore al cinquanta per cento dell’orario a tempo pieno), o con contratto a tempo pieno e determinato di durata non inferiore a tre mesi e con il mantenimento in servizio dei lavoratori per almeno tre mesi.

• In relazione alle assunzioni obbligatorie dei disabili il decreto si occupa anzitutto di razionalizzare gli adempimenti relativi all’assunzione obbligatoria dei soggetti protetti, regolata dalla l. n. 68 del 1999. In primo luogo fra i soggetti disabili vengono inseriti anche coloro i quali hanno diritto all’assegno di invalidità, in conseguenza di una riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo ed in modo permanente (per difetto fisico o psichico).
Viene inoltre eliminato il regime di gradualità delle assunzioni nei confronti dei datori che occupano fra 15 e 35 dipendenti, prevedendosi, a decorrere dal 2017, che l’obbligo di assunzione di un invalido abbia luogo automaticamente solo in caso di nuova assunzione.
Viene risolto l’annoso problema del computo degli invalidi divenuti tali in corso di rapporto (o comunque in servizio presso l’impresa) con la previsione che vuole che possano essere computati nella quota d’obbligo purché abbiano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 60% o al 45% in caso di invalidità psichica.
La nuova disciplina, pur riconfermando l’obbligo dei datori di lavoro di inviare, con cadenza annuale, un prospetto dal quale risultino il numero complessivo dei lavoratori occupati, il numero ed i nominativi dei lavoratori computabili nella quota ed i posti e le mansioni disponibili per l’assunzione obbligatoria, pone l’avviamento per c.d. “d’ufficio” in secondo piano. Infatti, secondo l’art. 7 della legge del 1999 (come modificato dal d.lgs. in commento), i datori di lavoro privati e gli enti pubblici economici possono assumere i lavoratori mediante richiesta nominativa o mediante la stipula di convenzioni. Viene così generalizzata, come canale d’accesso privilegiato, la richiesta nominativa dei lavoratori che, in passato, era prevista solo in particolari condizioni. Inoltre la richiesta nominativa può essere preceduta da una richiesta all’ufficio di effettuare una preselezione dei disabili iscritti nell’elenco, sulla base delle qualifiche e delle modalità concordate. È quindi solo nel caso in cui l’impresa non si avvalga della richiesta nominativa che scatta l’avviamento d’ufficio (entro sessanta giorni dal momento in cui i datori sono obbligati all’assunzione), secondo l’ordine di graduatoria per la qualifica richiesta o altra specificamente concordata con il datore di lavoro sulla base delle qualifiche disponibili.
Su un piano più generale viene rivisitato il sistema delle incentivazioni, allo scopo di favorire l’assunzione dei disabili gravi.

B) IL DECRETO SUI SERVIZI PER L’IMPIEGO

Il dlgs. n. 150 si occupa del coordinamento dei servizi per l’impiego e delle politiche attive per favorire l’occupazione. Come si ricorderà uno dei pilastri della riforma del sistema del collocamento degli anni novanta è stato il decentramento amministrativo, attuato con il d.lgs. n. 469 del 1997 (a seguito della legge di delegazione 15 marzo 1997, n. 59), che ha conferito alle regioni i compiti relativi al collocamento ed alle politiche attive del lavoro, nell’ambito di un ruolo generale di indirizzo e coordinamento dello Stato. Il nuovo decreto prefigura un parziale riaccentramento, quanto meno in funzione di un miglior coordinamento fra i vari soggetti operanti nel mercato del lavoro. Il decreto ha pertanto coerentemente e conseguentemente abrogato i decreti legislativi nn. 468 e 469 del 1997. Allo scopo è stata istituita la Rete Nazionale dei servizi per le politiche del lavoro costituita, fra l’altro:
a) dall’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL);
b) dalle strutture regionali per le politiche attive del lavoro di cui all’articolo 11 del decreto;
c) dagli enti previdenziali;
d) dalle agenzie per il lavoro, etc.
In sostanza vengono integrati nel sistema sia soggetti pubblici che soggetti privati.
Il coordinamento dell’attività della Rete è affidato all’ANPAL i cui compiti compiti e le funzioni sono analiticamente descritti nell’art. 9 del decreto. Per garantire livelli essenziali di prestazioni attraverso meccanismi coordinati di gestione amministrativa, il ministero del lavoro stipula, con ogni regione e con le province autonome di Trento e Bolzano, una convenzione finalizzata a regolare i relativi rapporti ed obblighi in relazione alla gestione dei servizi per il lavoro e delle politiche attive del lavoro nel territorio della regione o provincia autonoma (v. l’art. 11 del decreto, che elenca i principi cui deve ispirarsi la convenzione).
Grande enfasi viene data ai servizi ed alle misure di politica attiva del lavoro, che vengono affidati alle regioni, che dovranno espletarli con propri uffici territoriali, denominati centri per l’impiego, varie attività fra cui l’orientamento e l’assistenza nella ricerca di una occupazione, l’avviamento ad attività di formazione ai fini della qualificazione e riqualificazione professionale, l’accompagnamento al lavoro, anche attraverso l’utilizzo dell’assegno individuale di ricollocazione, etc. Per avere accesso alle politiche attive del lavoro il lavoratore disoccupato dovrà stipulare il patto di servizio personalizzato. La stipulazione del patto è indispensabile per confermare lo stato di disoccupazione, tant’è che i lavoratori disoccupati sono nella sostanza convocati d’ufficio dai centri per l’impiego per la stipulazione del patto. Al lavoratore che abbia rispettato le condizioni previste dalla legge (art. 20 del decreto) è riconosciuto, a richiesta, un «assegno individuale di ricollocazione» (v. l’art. 23 del decreto), graduato in funzione del profilo personale di occupabilità, spendibile presso i centri per l’impiego o presso i servizi accreditati per ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di lavoro.
Il lavoratore decada dall’assegno individuale nel caso di mancata partecipazione alle iniziative strumentali alla ricollocazione o rifiuti senza giustificato motivo una congrua offerta di lavoro e, ovviamente, in caso di perdita dello stato di disoccupazione. A tale trafila devono sottoporsi anche i lavoratori beneficiari di integrazioni salariali per i quali la sospensione o riduzione dell’orario di lavoro, calcolata in un periodo di 12 mesi, sia superiore al 50% (v. l’art. 22 del decreto), con il corollario dell’applicazione delle sanzioni conseguenti (fino alla perdita del trattamento CIG).
Infine con l’art. 26 del decreto è stato previsto un meccanismo del tutto analogo a quello invalso nell’ambito della legislazione sui lavori socialmente utili, consistente nell’utilizzo diretto dei lavoratori titolari di strumenti di sostegno al reddito in costanza di rapporto. I lavoratori in questione possono essere chiamati a svolgere attività a fini di pubblica utilità a beneficio della comunità territoriale di appartenenza.

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