Pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale – n. 221 del 23 settembre 2015 i restanti quattro decreti attuativi del Jobs Act. Si completa, così, il percorso previsto dalla legge delega di riordino della normativa riguardante il mondo del lavoro.
• DECRETO LEGISLATIVO 14 settembre 2015, n. 148
Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183. (15G00160) (Suppl. Ordinario n. 53);
• DECRETO LEGISLATIVO 14 settembre 2015, n. 149
Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183. (15G00161) (Suppl. Ordinario n. 53);
• DECRETO LEGISLATIVO 14 settembre 2015, n. 150
Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183. (15G00162) (Suppl. Ordinario n. 53);
• DECRETO LEGISLATIVO 14 settembre 2015, n. 151
Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183. (15G00164) (Suppl. Ordinario n. 53)
Tutti e quattro i decreti entrano in vigore dal giorno della loro pubblicazione, ma saranno necessari altri decreti ministeriali e passaggi amministrativi affinché le riforme previste si completino.
Nel caso degli ammortizzatori sociali, sono di immediata applicazione le nuove aliquote contributive; in materia di semplificazioni si dovranno rispettare da subito le disposizioni relative ai controlli a distanza; le disposizioni riguardanti le politiche attive del lavoro e il riordino dell’attività ispettiva non sono di portata immediata.
Diamo conto qui di seguito delle più significative novità introdotte nell’ordinamento in materia di semplificazioni e servizi per l’impiego.
A) IL DECRETO SULLE “SEMPLIFICAZIONI”
Il decreto si pone l’obiettivo di razionalizzare e semplificare le procedure per le imprese sia sul piano degli adempimenti formali che su quello della gestione del rapporto di lavoro.
• Parecchio rumore ha generato la modifica dell’art. 4 dello statuto dei lavoratori in materia di controlli a distanza, modifica che si basa sulla previsione di cui all’art. 1, 7° co., lett. f) della legge di delegazione n. 183 del 2014.
La disposizione originaria vietava al datore di lavoro l’adozione di «impianti audiovisivi» e di «altre apparecchiature» che consentissero il controllo a distanza, tranne che fossero richiesti da esigenze organizzative e/o produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro. In tal caso la loro installazione ed il loro impiego doveva essere oggetto di accordo con le R.S.A. (rappresentanze sindacali aziendali) o, in mancanza, con la commissione interna.
Il nuovo testo dell’art. 4 s.l., come sostituito dall’art. 23 del decreto, ribadisce anzitutto che gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere installati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, previo accordo collettivo stipulato dalla r.s.u. o dalle r.s.a.
In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo essi possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del ministero del lavoro.
Come già si riteneva in passato, vale ovviamente nei confronti del provvedimento amministrativo la possibilità di ricorso dapprima amministrativo e successivamente giurisdizionale.
La novità del provvedimento sta però nella circostanza che l’accordo e l’autorizzazione non sono richiesti per gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e per gli strumenti di registrazione degli accessi e delle uscite (purché ovviamente non abbiano la funzione di un surrettizio controllo a distanza). Ne deriva che l’affidamento al lavoratore di strumenti oggi molto diffusi, che siano necessari per lo svolgimento dell’attività di lavoro, come gli smartphone o i tablet, non ha bisogno di alcune preventiva autorizzazione amministrativa o di accordo sindacale.
Ma vi è di più e di più rilevante e cioè che le informazioni raccolte attraverso tali ultimi strumenti ben possono essere utilizzate dal datore di lavoro (anche a fini disciplinari), purché venga data al lavoratore adeguata informazione delle loro modalità d’uso e di effettuazione dei controlli e pur sempre nel rispetto della disciplina sulla c.d. privacy (di cui al d.lgs. n. 196 del 2003).
• Anche la materia delle dimissioni del lavoratore, già oggetto di vari interventi legislativi recenti, da ultimo con la legge n. 92 del 2012 (c.d. riforma Monti), ha subito ulteriori aggiustamenti. Si ricorderà che lo scopo del legislatore è quello di accertare la genuinità delle dimissioni rassegnate dal lavoratore, combattendo la prassi delle cc.dd. “dimissioni in bianco”, sottoscritte dal lavoratore al momento dell’assunzione e fatte valere dal datore di lavoro a propria discrezione. La nuova disposizione (art. 26) contiene una più puntuale articolazione della procedura, non mancando peraltro di rinviare ad un decreto del ministro del lavoro che dovrà stabilire i dati di identificazione del rapporto di lavoro da cui si intende recedere o che si intende risolvere, i dati di identificazione del datore di lavoro e del lavoratore, le modalità di trasmissione nonché gli standard tecnici per definire la data certa di trasmissione. In primo luogo fa salve le dimissioni della lavoratrice regolate dall’art. 55, 4° comma 4, del d.lgs. n. 151 del 2001, alle quali dunque non si applica la nuova procedura. Nel merito precisa che le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro devono essere fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal ministero del lavoro, con le modalità individuate dal decreto ministeriale di cui si è detto. Entro sette giorni dalla data di trasmissione del modulo il lavoratore ha la facoltà di revocare le dimissioni e la risoluzione consensuale con le medesime modalità. La trasmissione dei moduli può avvenire anche per il tramite dei patronati e delle organizzazioni sindacali nonché degli enti bilaterali e delle commissioni di certificazione. Inoltre la legge chiarisce che quanto già era enucleabile in via interpretativa e cioè che le dimissioni o la risoluzione consensuale che facciamo corpo con una conciliazione sottoscritta nelle sedi che la rendono inoppugnabile (ex art. 2113 o davanti alle commissioni di certificazione) non hanno bisogno di soggiacere alla procedura confermativa della volontà del lavoratore.
È importante notare che la disciplina descritta non è immediatamente applicabile. Essa infatti troverà applicazione a far data dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di determinazione delle procedure attuative.
• Per quanto concerne il sistema del collocamento una delle semplificazioni consiste nella previsione secondo cui il libro unico del lavoro dal 2017 dovrà essere redatto in forma telematica. Nella stessa logica con l’art. 16 del decreto è stato previsto che tutte le comunicazioni in materia di rapporti di lavoro, collocamento mirato, tutela delle condizioni di lavoro, incentivi, etc. devono effettuarsi esclusivamente in via telematica. Quanto alle sanzioni per l’omessa comunicazione si è prevista la possibilità di una sorta di sanatoria in caso di omessa denuncia preventiva di assunzione. Infatti a tale situazione – con l’eccezione dell’impiego di lavoratori stranieri o di minori – si applica la procedura di diffida di cui all’articolo 13 del d.lgs. 23 aprile 2004, n. 124. Il datore di lavoro può vedere ridotte le sanzioni se procede alla regolarizzazione dei relativi rapporti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (anche a tempo parziale con riduzione dell’orario di lavoro non superiore al cinquanta per cento dell’orario a tempo pieno), o con contratto a tempo pieno e determinato di durata non inferiore a tre mesi e con il mantenimento in servizio dei lavoratori per almeno tre mesi.
• In relazione alle assunzioni obbligatorie dei disabili il decreto si occupa anzitutto di razionalizzare gli adempimenti relativi all’assunzione obbligatoria dei soggetti protetti, regolata dalla l. n. 68 del 1999. In primo luogo fra i soggetti disabili vengono inseriti anche coloro i quali hanno diritto all’assegno di invalidità, in conseguenza di una riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo ed in modo permanente (per difetto fisico o psichico).
Viene inoltre eliminato il regime di gradualità delle assunzioni nei confronti dei datori che occupano fra 15 e 35 dipendenti, prevedendosi, a decorrere dal 2017, che l’obbligo di assunzione di un invalido abbia luogo automaticamente solo in caso di nuova assunzione.
Viene risolto l’annoso problema del computo degli invalidi divenuti tali in corso di rapporto (o comunque in servizio presso l’impresa) con la previsione che vuole che possano essere computati nella quota d’obbligo purché abbiano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 60% o al 45% in caso di invalidità psichica.
La nuova disciplina, pur riconfermando l’obbligo dei datori di lavoro di inviare, con cadenza annuale, un prospetto dal quale risultino il numero complessivo dei lavoratori occupati, il numero ed i nominativi dei lavoratori computabili nella quota ed i posti e le mansioni disponibili per l’assunzione obbligatoria, pone l’avviamento per c.d. “d’ufficio” in secondo piano. Infatti, secondo l’art. 7 della legge del 1999 (come modificato dal d.lgs. in commento), i datori di lavoro privati e gli enti pubblici economici possono assumere i lavoratori mediante richiesta nominativa o mediante la stipula di convenzioni. Viene così generalizzata, come canale d’accesso privilegiato, la richiesta nominativa dei lavoratori che, in passato, era prevista solo in particolari condizioni. Inoltre la richiesta nominativa può essere preceduta da una richiesta all’ufficio di effettuare una preselezione dei disabili iscritti nell’elenco, sulla base delle qualifiche e delle modalità concordate. È quindi solo nel caso in cui l’impresa non si avvalga della richiesta nominativa che scatta l’avviamento d’ufficio (entro sessanta giorni dal momento in cui i datori sono obbligati all’assunzione), secondo l’ordine di graduatoria per la qualifica richiesta o altra specificamente concordata con il datore di lavoro sulla base delle qualifiche disponibili.
Su un piano più generale viene rivisitato il sistema delle incentivazioni, allo scopo di favorire l’assunzione dei disabili gravi.
B) IL DECRETO SUI SERVIZI PER L’IMPIEGO
Il dlgs. n. 150 si occupa del coordinamento dei servizi per l’impiego e delle politiche attive per favorire l’occupazione. Come si ricorderà uno dei pilastri della riforma del sistema del collocamento degli anni novanta è stato il decentramento amministrativo, attuato con il d.lgs. n. 469 del 1997 (a seguito della legge di delegazione 15 marzo 1997, n. 59), che ha conferito alle regioni i compiti relativi al collocamento ed alle politiche attive del lavoro, nell’ambito di un ruolo generale di indirizzo e coordinamento dello Stato. Il nuovo decreto prefigura un parziale riaccentramento, quanto meno in funzione di un miglior coordinamento fra i vari soggetti operanti nel mercato del lavoro. Il decreto ha pertanto coerentemente e conseguentemente abrogato i decreti legislativi nn. 468 e 469 del 1997. Allo scopo è stata istituita la Rete Nazionale dei servizi per le politiche del lavoro costituita, fra l’altro:
a) dall’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL);
b) dalle strutture regionali per le politiche attive del lavoro di cui all’articolo 11 del decreto;
c) dagli enti previdenziali;
d) dalle agenzie per il lavoro, etc.
In sostanza vengono integrati nel sistema sia soggetti pubblici che soggetti privati.
Il coordinamento dell’attività della Rete è affidato all’ANPAL i cui compiti compiti e le funzioni sono analiticamente descritti nell’art. 9 del decreto. Per garantire livelli essenziali di prestazioni attraverso meccanismi coordinati di gestione amministrativa, il ministero del lavoro stipula, con ogni regione e con le province autonome di Trento e Bolzano, una convenzione finalizzata a regolare i relativi rapporti ed obblighi in relazione alla gestione dei servizi per il lavoro e delle politiche attive del lavoro nel territorio della regione o provincia autonoma (v. l’art. 11 del decreto, che elenca i principi cui deve ispirarsi la convenzione).
Grande enfasi viene data ai servizi ed alle misure di politica attiva del lavoro, che vengono affidati alle regioni, che dovranno espletarli con propri uffici territoriali, denominati centri per l’impiego, varie attività fra cui l’orientamento e l’assistenza nella ricerca di una occupazione, l’avviamento ad attività di formazione ai fini della qualificazione e riqualificazione professionale, l’accompagnamento al lavoro, anche attraverso l’utilizzo dell’assegno individuale di ricollocazione, etc. Per avere accesso alle politiche attive del lavoro il lavoratore disoccupato dovrà stipulare il patto di servizio personalizzato. La stipulazione del patto è indispensabile per confermare lo stato di disoccupazione, tant’è che i lavoratori disoccupati sono nella sostanza convocati d’ufficio dai centri per l’impiego per la stipulazione del patto. Al lavoratore che abbia rispettato le condizioni previste dalla legge (art. 20 del decreto) è riconosciuto, a richiesta, un «assegno individuale di ricollocazione» (v. l’art. 23 del decreto), graduato in funzione del profilo personale di occupabilità, spendibile presso i centri per l’impiego o presso i servizi accreditati per ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di lavoro.
Il lavoratore decada dall’assegno individuale nel caso di mancata partecipazione alle iniziative strumentali alla ricollocazione o rifiuti senza giustificato motivo una congrua offerta di lavoro e, ovviamente, in caso di perdita dello stato di disoccupazione. A tale trafila devono sottoporsi anche i lavoratori beneficiari di integrazioni salariali per i quali la sospensione o riduzione dell’orario di lavoro, calcolata in un periodo di 12 mesi, sia superiore al 50% (v. l’art. 22 del decreto), con il corollario dell’applicazione delle sanzioni conseguenti (fino alla perdita del trattamento CIG).
Infine con l’art. 26 del decreto è stato previsto un meccanismo del tutto analogo a quello invalso nell’ambito della legislazione sui lavori socialmente utili, consistente nell’utilizzo diretto dei lavoratori titolari di strumenti di sostegno al reddito in costanza di rapporto. I lavoratori in questione possono essere chiamati a svolgere attività a fini di pubblica utilità a beneficio della comunità territoriale di appartenenza.
Copyright © – P&P Studio Legale – Riproduzione riservata