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Archive for category: Diritto Societario

Decreto Sostegni bis. Nuove misure per professionisti ed imprese

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, del 25 maggio 2021, n. 123 il decreto-legge n. 73/21 recante “Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali”.

Il provvedimento, cosiddetto “Sostegni bis“, in vigore dal 26 maggio, si compone di nove titoli: “sostegno alle imprese, all’economia e abbattimento dei costi fissi; misure per l’accesso al credito e la liquidità delle imprese; misure per la tutela della salute; disposizioni in materia di lavoro e politiche sociali; enti territoriali; giovani, scuola e ricerca; cultura; agricoltura e trasporti; disposizioni finali e finanziarie” e stanzia complessivamente circa 40 miliardi di euro.

Sostegno alle imprese, all’economia e abbattimento dei costi fissi

Nello specifico, il provvedimento prevede contributi pari a 15 miliardi di euro a fondo perduto per:

– i soggetti titolari di partita IVA che svolgono attività d’impresa, arte o professione;

– gli enti non commerciali e del terzo settore, senza più alcuna limitazione settoriale.

La misura, in particolare, si articola su 3 componenti:

  • la replica dell’intervento previsto dal decreto Sostegni, con un contributo a fondo perduto per le partite IVA con determinate classi di ricavi, che abbiamo subito un calo del fatturato di almeno il 30% tra il 2019 e il 2020. Il contributo in parola, previsto dal comma 1, spetta nella misura del 100% del contributo riconosciuto ai sensi dell’art. 1 del D.L. n. 41/2021;
  • una seconda componente, dettagliatamente prevista dal comma 5, basata sul calo medio mensile del fatturato nel periodo compreso tra il 1° aprile 2020 e il 31 marzo 2021. I soggetti che hanno fruito del contributo a fondo perduto con il decreto Sostegni possono, in alternativa al contributo di cui al comma 1 (cioè alla ripetizione del contributo ottenuto in base al D.L. n. 41/2021), richiedere un (diverso) contributo a fondo perduto “a condizione che l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo dal 1° aprile 2020 al 31 marzo 2021 sia inferiore almeno del 30 per cento rispetto all’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo dal 1° aprile 2019 al 31 marzo 2020”. Tale contributo, pur essendo alternativo a quello del comma 1, è in qualche modo ad esso complementare, perché a) i soggetti che abbiano beneficiato del contributo previsto dal decreto Sostegni potranno ottenere l’eventuale maggior valore del contributo in parola, se superiore al primo. In tal caso, il contributo già corrisposto o riconosciuto sotto forma di credito d’imposta dall’Agenzia delle Entrate verrà scomputato da quello da riconoscere ai sensi del comma 5; b) se dall’istanza per il riconoscimento del contributo di cui al comma 5 emerge un contributo inferiore rispetto a quello spettante ai sensi del comma 1, l’Agenzia non darà seguito all’istanza stessa;
  • una terza componente, che avrà una finalità perequativa e si concentrerà sui risultati economici dei contribuenti, anziché sul fatturato. Il contributo verrà assegnato sulla base del peggioramento del risultato economico d’esercizio e terrà conto dei ristori e sostegni già percepiti nel 2020 e nel 2021. Tale terza componente, tuttavia, è per ora in stand by essendo subordinata all’autorizzazione della Commissione europea (comma 27).

È ulteriormente previsto:

  • un credito d’imposta per canoni di locazione ed affitto di immobili ad uso non abitativo per i mesi da gennaio a maggio 2021. La medesima misura è prorogata fino a luglio 2021 per le imprese del settore alberghiero e turistico, le agenzie di viaggio ed i tour operator;
  • l’esenzione della Tari per gli esercizi commerciali e le attività economiche colpite dalla pandemia;
  • la proroga fino a luglio 2021 del contributo per il pagamento delle bollette elettriche diverse dagli usi domestici;
  • il differimento per ulteriori 2 mesi, fino al 30 giugno 2021, della sospensione delle attività dell’Agente della Riscossione;

Accesso al credito e liquidità delle imprese

È previsto uno stanziamento di circa 9 miliardi, al fine di garantire l’accesso al credito, sostenere la liquidità e incentivare la capitalizzazione delle imprese, attraverso l’estensione di misure in vigore e l’attuazione di nuovi interventi.

Nello specifico:

  • è stata prevista la proroga al 31 dicembre 2021 delle moratorie sui prestiti, applicata alla sola quota capitale delle esposizioni, ed il prolungamento degli strumenti di garanzia emergenziali previsti dal Fondo di Garanzia per le Pmi e da Garanzia Italia di Sace;
  • nell’ambito del Fondo Pmi, è stato introdotto uno strumento di garanzia pubblica di portafoglio a supporto dei crediti a medio lungo termine per finanziare progetti di ricerca e sviluppo e programmi di investimento di imprese fino a 500 dipendenti;
  • è stato introdotto un contributo di 2 miliardi di euro, per la disciplina dell’ACE (Aiuto alla Crescita Economica) per gli aumenti di capitale fino a 5 milioni di euro, con la possibilità di trasformare il relativo beneficio fiscale in credito d’imposta compensabile per il 2021;
  • è stata estesa ai soggetti con ricavi superiori ai 5 milioni di euro la possibilità di utilizzare in compensazione, nel solo 2021, il credito d’imposta per gli investimenti effettuati nello stesso anno nei cosiddetti beni ‘ex super ammortamento’;
  • è stata introdotta di un’agevolazione fiscale temporanea per favorire gli apporti di capitale da parte delle persone fisiche in start-up e Pmi innovative;
  • è stato innalzato a 2 milioni di euro il limite annuo dei crediti d’imposta compensabili o rimborsabili, per favorire lo smobilizzo dei crediti tributari e contributivi.

Tutela della salute

È previsto un contributo di 2,8 miliardi di euro al fine di rafforzare il sistema sanitario e ridurre le liste di attesa per l’accesso alle prestazioni sanitarie.

Lavoro e politiche sociali

Il decreto prevede nello specifico:

  • il riconoscimento di quattro ulteriori mensilità per il reddito di emergenza (REM);
  • una nuova indennità una tantum per i lavoratori stagionali, del turismo e dello sport che avevano già beneficiato della stessa misura prevista con il decreto “sostegni”;
  • il blocco alla progressiva riduzione dell’indennità prevista con la Naspi;
  • l’estensione al 2021 del contratto di espansione per le imprese con almeno 100 dipendenti e nuove risorse per i contratti di solidarietà;
  • l’introduzione del contratto di rioccupazione, volto a incentivare l’inserimento dei lavoratori disoccupati nel mercato del lavoro;
  • l’istituzione di un fondo da 500 milioni di euro per l’adozione di misure urgenti a sostegno delle famiglie vulnerabili;
  • la preclusione dell’avvio delle procedure di licenziamento per tutta la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021 e la sospensione, nel medesimo periodo, delle procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020.

In altri termini, il divieto di licenziamento è stato prorogato di pari passo con gli ammortizzatori sociali Covid (CIGO, CIGD, FIS e CISOA) istituiti dal 23 febbraio 2020 e via via prorogati dalla normativa emergenziale.

Il divieto di licenziamento proibisce di:

– avviare procedure di licenziamento collettivo;

– recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo “ai sensi dell’art. 3 L. 604/1966”.

Il Decreto Sostegni-bis prevede in buona sostanza che, a partire dal 1° luglio 2021, le aziende che non avranno più necessità di ricorrere alla CIG Covid-19 non saranno più soggette al divieto di licenziamento.

Resta, invece, la possibilità per le imprese di utilizzare la Cassa integrazione ordinaria, anche dal primo di luglio, senza dover pagare le addizionali fino al 31 dicembre 2021, impegnandosi a non licenziare.

Fattispecie in deroga

Il divieto non si applica al ricorrere di una delle seguenti fattispecie:

  • cessazione definitiva dell’attività dell’impresa;
  • cessazione conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa;
  • stipula di un accordo collettivo aziendale, con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, che prevede l’incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro;
  • fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o ne sia disposta la cessazione;

Deroga per gli appalti

Per espressa previsione legislativa, costituisce eccezione l’ipotesi dei lavoratori già impiegati nell’appalto, che siano riassunti a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto. Resta dunque legittima l’ipotesi per cui il personale interessato dal recesso, già impiegato in un appalto, venga riassunto a seguito del subentro di un nuovo appaltatore in forza di disposizioni di legge, contratto collettivo nazionale di lavoro o clausole del contratto di appalto. La ratio della norma è dunque sempre quella di preservare il posto di lavoro.

Fattispecie di licenziamento sempre consentite

Dalle norme emergenziali che si sono susseguite negli ultimi 15 mesi, restano comunque escluse le seguenti fattispecie di recesso unilaterale dal rapporto di lavoro che sono in qualunque momento consentite al datore di lavoro:

  • licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo;
  • licenziamenti per superamento del periodo di comporto;
  • licenziamento entro il termine del periodo di prova;
  • licenziamento per raggiunti limiti di età ai fini della fruizione della pensione di vecchiaia;
  • licenziamento ad nutum del dirigente;
  • licenziamento dei lavoratori domestici;
  • interruzione dell’apprendistato al termine del periodo formativo;
  • interruzione del rapporto con l’ex socio di una cooperativa di produzione e lavoro, in caso di precedente risoluzione del rapporto associativo (in base alle disposizioni statutarie o regolamentari in vigore).

Giovani, scuola e ricerca

Sono previste:

  • agevolazioni fiscali per l’acquisto della casa per i giovani, con un ISEE fino a 40.000 euro;
  • il potenziamento del Fondo Gasparrini (Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto per la prima casa) e del Fondo di Garanzia prima casa, portando la percentuale di copertura della garanzia dal 50 all’80%;
  • altre risorse per l’acquisto di beni e servizi finalizzati a contenere il rischio epidemiologico in vista dell’anno scolastico 2021-22, per l’adeguamento degli spazi e delle aule e per potenziare i centri estivi diurni.

Misure di carattere settoriale

Ulteriori e specifiche risorse sono state, inoltre, stanziate per sostenere

  • i trasporti, la cultura, lo spettacolo, l’agricoltura, gli aeroporti, lo spettacolo e i cinema, le istituzioni culturali e i musei.
Trasferimento delle Partecipazioni di S.r.L.

Trasferimento delle Partecipazioni di S.r.L.

La Commissione Società del Consiglio notarile di Milano ha pubblicato tre nuove massima in materia di trasferimento delle partecipazioni di S.r.l., che di seguito si riportano espressamente con anche le relative motivazioni.

Massima n. 151 del 17 maggio 2016 – Recesso in presenza di una clausola di mero gradimento nelle s.r.l. (art. 2469, comma 2, c.c)

In presenza di una clausola statutaria che subordini il trasferimento delle partecipazioni sociali al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi, senza prevederne condizioni e limiti, è legittimo prevedere espressamente che ai soci spetti il diritto di recesso unicamente quando il gradimento venga richiesto e negato.

Il dato letterale dell’art. 2469, comma 2, c.c. sembra lasciar intendere che la mera previsione da parte dell’atto costitutivo della intrasferibilità delle partecipazioni o di un gradimento mero legittimi tutti i soci, in ogni momento, ad esercitare il diritto di recesso. Tuttavia una simile lettura, con riferimento alle clausole di gradimento mero, rischia di essere contraria alla ratio della norma, volta a evitare che il socio sia “prigioniero” della società.

Se può essere coerente con tale finalità il riconoscimento di un diritto di recesso ad nutum in capo a tutti i soci a fronte di una clausola che preveda l’intrasferibilità assoluta della partecipazione, altrettanto non può dirsi per il caso di clausola che preveda il rilascio di un gradimento mero da parte degli organi sociali, dei soci o di terzi. In tal caso, infatti, attribuire a tutti i soci, indiscriminatamente, la possibilità di recedere avrebbe un effetto opposto a quello tutelato dalla norma in esame: ciascun socio, maturata la decisione di uscire dalla compagine sociale, potrebbe arbitrariamente scegliere di recedere dalla società ottenendo la liquidazione della propria partecipazione, a carico degli altri soci, anche in assenza di soggetti intenzionati a comprare la sua partecipazione. In altre parole, per tutelare il diritto di un socio di non restare intrappolato nella società, si consentirebbe a questo stesso socio di porre a carico della società e/o degli altri soci l’onere della sua liquidazione anche in assenza di altri soggetti disposti ad acquistare la partecipazione.

È quindi certamente legittima una clausola statutaria che attribuisce all’art. 2469, comma 2, c.c., un significato coerente con la ratio cui è ispirato, riconoscendo espressamente il diritto di recesso ai soci solo nel caso in cui il gradimento “mero” sia negato, eventualmente richiedendo adeguata dimostrazione della disponibilità del terzo ad acquistare la partecipazione, poiché solo in tale circostanza si verifica il presupposto che la regola dettata dal legislatore intende sanare, consistente nel rischio di “prigionia” del socio. Una siffatta clausola, del resto, ove si aderisse alla tesi qui sostenuta, risulterebbe riproduttiva dello stesso precetto legale. Essa potrebbe comunque essere ritenuta opportuna, nella misura in cui rende esplicito l’effetto della norma, individuando esattamente i presupposti del diritto di recesso, anche in assenza di una esplicita presa di posizione in statuto.

Massima n. 152 del 17 maggio 2016 – Divieto temporaneo di trasferimento delle partecipazioni di s.r.l. (art. 2469, comma 2, c.c.)

È legittima la clausola statutaria che, in presenza di un divieto temporaneo di trasferimento di quote di s.r.l. per un periodo superiore ai due anni, escluda espressamente la facoltà di recesso per l’intero periodo di intrasferibilità, purché il termine apposto al divieto di trasferimento, tenuto conto dell’oggetto sociale e della durata della società, non sia tale da rendere il divieto assoluto e non temporaneo.

L’art. 2469, comma 2, c.c. prevede, tra le altre, l’ipotesi della clausola statutaria di intrasferibilità delle partecipazioni, stabilendo che, in presenza di una tale disposizione statutaria, il socio abbia diritto di recedere ai sensi dell’art. 2473 c.c. La medesima disposizione, peraltro, attenua la regola enunciata consentendo agli statuti di stabilire un termine, non superiore a due anni, prima del quale il recesso non può essere esercitato.

Una prima lettura della norma potrebbe essere orientata a riconoscere il diritto di recesso in qualunque caso di intrasferibilità delle partecipazioni, a prescindere dalla durata o, più in generale, dalla portata del divieto. Secondo tale lettura, in sostanza, lo statuto potrebbe impedire, senza il correttivo del recesso, la circolazione delle partecipazione solo per un tempo massimo di due anni; decorso il biennio, il socio soggetto ad una clausola di intrasferibilità (quale che ne sia la portata) potrebbe sempre recedere ai sensi dell’art. 2473 c.c.

Una tale lettura, tuttavia, non appare condivisibile.

Vi si oppongono anzitutto solidi argomenti di carattere letterale. La locuzione utilizzata dalla norma, infatti, si riferisce nel suo tenore letterale alla sola intrasferibilità assoluta, e cioè al caso di divieto, appunto, assoluto di trasferimento della partecipazione. Ciò si evince non solo dal significato piano delle parole utilizzate (la “intrasferibilità” delle partecipazioni è locuzione che di per sé evoca divieto di trasferimento senza eccezioni o limiti), ma anche dalla formulazione della fattispecie immediatamente successiva prevista dalla stessa norma. Descrivendo la clausola di gradimento idonea ad attribuire recesso, la norma infatti ha cura di precisare che si deve trattare di gradimento che non preveda “condizioni o limiti”, e così assicura che il gradimento che invece tali limiti o condizioni preveda non renda operante la causa di recesso. Una lettura coerente delle due fattispecie legittimanti il recesso previste dalla norma porta dunque a confermare la tesi secondo cui costituisce causa di recesso solo la clausola di intrasferibilità assoluta, la clausola, cioè che vieti la circolazione della partecipazione senza limiti e senza eccezioni.

Agli argomenti basati sulla lettera della norma, si aggiungono, in modo assai significativi gli argomenti di carattere sistematico e funzionale.

Si consideri anzitutto che, diversamente opinando, il profilo della trasferibilità delle partecipazioni sociali finirebbe per essere disciplinato in modo poco coerente, nel quadro dei diversi tipi delle società lucrative. Si parte infatti dalle società di persone, nelle quali il regime legale prevede l’intrasferibilità delle partecipazioni, salvo che consti il consenso degli altri soci (art. 2252 c.c.), ferma la possibilità per l’autonomia negoziale di attenuare il limite legale di trasferibilità, di per sé già meno rigido per quanto concerne le partecipazioni dei soci accomandanti nelle s.a.s. (art. 2322 c.c.). Si arriva poi alle società azionarie, per le quali, a fronte dell’opposta regola legale della libera trasferibilità delle azioni, viene espressamente concessa all’autonomia statutaria di impedire del tutto l’alienazione delle azioni, purché in via temporanea, entro il limite massimo di 5 anni (art. 2355-bis c.c.). In modo del tutto singolare, nel mezzo starebbe la s.r.l., per la quale, a fronte della medesima regola legale di libera trasferibilità, sarebbe concesso un divieto di trasferimento solo per massimi 2 anni, oltre i quali una diversa volontà dei soci sarebbe colpita non già dalla nullità della clausola, bensì dalla facoltà di recesso ad nutum a favore di tutti i soci destinatari del divieto statutario.

Il maggior spazio riservato dal legislatore all’autonomia statutaria nel modello organizzativo delle s.r.l., al contrario, è da ritenere strumentale alla possibilità di introdurre elementi personalistici nella struttura statutaria delle s.r.l., rendendole dunque più vicine ai tipi delle società di persone, anche sotto questo punto di vista. La possibilità di introdurre divieti anche più lunghi di 2 anni (e anche più lunghi di 5 anni, salva la necessità di valutare caso per caso la durata della società e il suo oggetto sociale), senza incorrere nella assai gravosa conseguenza del recesso ad nutum, è pertanto funzionale a realizzare questa maggior fungibilità del modello, nei casi in cui l’intuitus personae richieda il mantenimento della compagine sociale iniziale, almeno per un determinato periodo di tempo.

Dalla tesi testé espressa deriva che un divieto non assoluto ma solo temporaneo di trasferimento delle partecipazioni sociali non costituisce causa di recesso, poiché il divieto temporaneo – in quanto non assoluto – non è fattispecie rientrante nel perimetro applicativo dell’art. 2469, secondo comma, c.c.. Ad analoga conclusione si potrà giungere per altre clausole di intrasferibilità non assoluta, come potrebbero essere le clausole che facessero divieto di trasferire solo parte della partecipazione posseduta imponendo il necessario trasferimento dell’intera partecipazione o quelle che prevedessero il trasferimento solo a favore di determinate categorie di soggetti, o quelle che ad esempio vietassero i trasferimenti con corrispettivi diversi dal denaro, e così via. In tutte queste ipotesi, la disposizione statutaria che escludesse il recesso senza limiti di tempo o comunque per un periodo di tempo superiore a due anni sarebbe dunque legittima, perché avrebbe soltanto il significato di precisare in statuto la disciplina comunque operante ai sensi di legge.

Anche per le clausole di divieto non assoluto di trasferimento delle partecipazioni vale naturalmente la consueta sollecitazione a valutare la clausola statutaria nel complesso delle concrete previsioni statutarie. E ciò, nel caso di specie, per evitare che alla luce degli specifici assetti esistenti in una determinata società (si pensi alle disposizioni sull’oggetto sociale o sulla durata) una clausola di intrasferibilità formalmente relativa non possa o debba essere letta, in un’ottica più sostanzialistica, come clausola di intrasferibilità assoluta.

Massima n. 153 del 17 maggio 2016 – Riscattabilità delle quote della s.r.l. (artt. 2469 e 2473-bis c.c.)

Sono legittime le clausole statutarie che attribuiscono ai soci di società a responsabilità limitata o ad alcuni di essi il diritto di riscattare in tutto o in parte le partecipazioni di altri soci, al ricorrere di determinati presupposti o durante determinati periodi di tempo, ferma restando l’applicabilità della regola della equa valorizzazione delle partecipazioni sociali prevista nei casi di recesso legale (art. 2473, comma 3, c.c.).

Con riferimento alle maggioranze richieste per l’introduzione nello statuto sociale di una clausola di riscatto:

(a) qualora il potere di riscatto sia attribuito a tutti i soci e la riscattabilità sia prevista quale condizione in cui qualsiasi socio possa incorrere al verificarsi di particolari situazioni, l’introduzione viene deliberata con le maggioranze ordinarie previste per le modificazioni statutarie, fatto salvo il consenso individuale del socio o dei soci che al momento della modificazione statutaria dovessero trovarsi nella situazione prevista dalla clausola;

(b) qualora invece il potere di riscatto sia attribuito solo ad alcuni i soci o la riscattabilità sia prevista quale soggezione che grava solo su alcuni soci, la clausola di riscatto può essere inserita nello statuto sociale solo con deliberazione unanime, trattandosi di introduzione di diritti particolari dei soci ai sensi dell’art. 2468 c.c.

La prima parte della Massima afferma, in linea con la più diffusa opinione dottrinale, l’ammissibilità della previsione statutaria del diritto di riscatto nelle società a responsabilità limitata.

Con riferimento ai presupposti della riscattabilità, si afferma il principio secondo cui il diritto di riscatto può essere previsto “al ricorrere di determinati presupposti o durante determinati periodi di tempo”. La scelta è dunque quella di consentire, sul punto, ampia flessibilità statutaria, riconoscendo come legittime anche le clausole che non comprendano, come presupposto per il proprio operare, la sussistenza di una “giusta causa” di riscatto.

Così opinando, il perimetro applicativo del riscatto convenzionale risulta più ampio rispetto a quello contemplato dalla fattispecie, che pur presenta qualche elemento di somiglianza con quella qui esaminata, dell’esclusione del socio (art. 2473-bis c.c.). La scelta si giustifica alla luce della diversa configurazione dei due istituti, specie sotto il profilo funzionale. L’esclusione, infatti, costituisce la reazione della società a un “inadempimento” del socio o a una situazione che rende comunque incompatibile la continuazione della sua partecipazione; di qui il necessario scrutinio sulla sussistenza di una giusta causa di esclusione. Il riscatto, invece, implica il diritto di uno o più soci, e non dunque della società di per sé considerata, ad ottenere il trasferimento a proprio favore di una determinata partecipazione; il riscatto, come tale, dà luogo dunque ad una vicenda di circolazione delle partecipazioni sociali che può rispondere a vari interessi, ma che non postula necessariamente esigenze sanzionatorie della società nei confronti del socio. Il riscatto, insomma, assume connotazioni funzionali vicine a quelle tipiche, ad esempio, delle clausole di prelazione o ancor di più delle clausole di covendita; di qui, la tendenziale irrilevanza del requisito della giusta causa.

La Massima, inoltre, chiarisce che le clausole statutarie di riscatto devono rispettare il principio della equa valorizzazione delle partecipazioni sociali prevista nei casi di recesso legale. Sul punto, è sufficiente richiamare le considerazioni già sottese alle Massime n. 85 e 86 (relative alla prelazione impropria), 88 (relativa alla covendita) e 99 (relativa alle azioni riscattabili).

Ancora, la Massima chiarisce che il diritto di riscatto può assumere, nella società a responsabilità limitata, una duplice configurazione: (i) quella di norma generale relativa al funzionamento della società, che conferisce a ciascun socio il diritto di riscatto delle altrui partecipazioni e prevede la riscattabilità quale condizione in cui qualsiasi socio possa incorrere al verificarsi di particolari situazioni, ovvero (ii) quella di diritto particolare ai sensi dell’art. 2468 c.c., che conferisce solo ad alcuni soci il diritto di riscattare le altrui partecipazioni e/o prevede la soggezione all’altrui diritto di riscatto solo per alcuni soci (in quest’ultima ipotesi, sulla scia della interpretazione estensiva, più volte adottata dalla Commissione, della nozione di diritti attribuibili ai soci nel senso più generale idoneo ad includere qualsiasi situazione giuridica soggettiva, anche di soggezione, agli stessi riferibile).

Infine, vengono esaminate le modalità di introduzione nello statuto sociale delle clausole di riscatto, distinguendo le due ipotesi di cui sopra sub (i) e (ii). Nella prima ipotesi – vale a dire l’ipotesi in cui il potere di riscatto sia attribuito a tutti i soci e la riscattabilità sia prevista quale condizione in cui qualsiasi socio possa incorrere al verificarsi di particolari situazioni – l’introduzione, come regola generale, può essere deliberata con le maggioranze ordinarie previste per le modificazioni statutarie, non configurandosi l’esigenza di proteggere alcun diritto soggettivo individuale. Se però al momento dell’inserimento della clausola uno o più soci si trovino nelle situazioni previste dalla clausola medesima, la Massima – confermando l’adesione all’indirizzo più prudente, già adottato in tema di azioni riscattabili – richiede il loro consenso individuale.

Nella seconda ipotesi – quella in cui il diritto di riscatto sia attribuito solo ad alcuni i soci e/o la riscattabilità sia prevista quale soggezione che grava solo su alcuni soci – l’introduzione della clausola soggiace invece alla disciplina di cui all’art. 2468 c.c. e pertanto potrà avvenire solo con deliberazione unanime, salva diversa disposizione dell’atto costitutivo secondo quanto consentito dall’art. 2468, quarto comma, c.c., ma sempre ferma la necessità del consenso individuale del socio o dei soci le cui partecipazioni siano assoggettate all’altrui diritto di riscatto.

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Notai – Pubblicati gli Orientamenti Societari 2015

Notai – Pubblicati gli Orientamenti Societari 2015

Pubblicati lo scorso 19 settembre gli orientamenti in materia di atti societari per l’anno 2015 dei Consigli Notarili del Triveneto. Qui di seguito i 16 orientamenti pubblicati molti dei quali riguardano questioni oggetto di recenti riforme normative.

H.A.15 – (L’AMPLIAMENTO DELL’AMBITO APPLICATIVO DELL’ART. 2343 TER C.C. DISPOSTO DAL D.L. N. 91/2014 – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15).

L’art. 20, commi 4 e 5, D.L. 24 giugno 2014, n. 91 ha ampliato l’ambito di applicazione del procedimento di valutazione fondato sulla documentazione di cui all’art. 2343 ter c.c., previsto per i conferimenti in natura nelle S.P.A. e nelle S.A.P.A., in alternativa al procedimento ordinario fondato sulla relazione giurata di stima asseverata da esperto nominato dal Tribunale, estendendolo anche:
a) al caso dell’acquisto da parte della società per corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale dei beni e dei crediti dei promotori, dei fondatori, dei soci, degli amministratori, nei 2 anni dall’iscrizione al Registro Imprese (art. 2343 bis c.c.);
b) al caso della trasformazione progressiva in S.P.A. o in S.A.P.A. ex art. 2500 ter c.c. e di trasformazione eterogenea in S.P.A. o in S.A.P.A. ex art. 2500 octies c.c.
I nuovi testi artt. 2343 bis e 2500 ter c.c., se da un lato richiamano espressamente la disposizione dell’art. 2343 ter c.c., dall’altro non richiamano anche la disposizione dell’art. 2343 quater c.c., che disciplina la fase di verifica ad opera degli amministratori.
Si ritiene, peraltro, tale verifica applicabile anche alle nuove fattispecie in quanto strettamente connessa alle specifiche modalità di determinazione dei valori previste dall’art. 2343 ter.

H.G.34 – (AUMENTO A PAGAMENTO DEL CAPITALE IN PRESENZA DI AZIONI GRAVATE DA USUFRUTTO – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15).

In caso di azioni gravate da usufrutto, se viene deliberato un aumento a pagamento del capitale, il diritto di opzione, ai sensi dell’art. 2352, comma 2, c.c., spetta al socio (nudo proprietario) ed al medesimo sono attribuite le azioni in base ad esso sottoscritte. Le azioni di nuova emissione sono attribuite al socio (nudo proprietario) in piena proprietà, dovendosi escludere sulle stesse un’estensione del diritto di usufrutto che continuerà a gravare solo sulle vecchie azioni, salva diversa volontà espressa dalle parti.
Si ritiene che le parti (socio/nudo proprietario ed usufruttuario), possano, con apposito patto, disciplinare la fattispecie in maniera diversa, prevedendo, ad esempio, la facoltà per l’usufruttuario di ottenere l’estensione del suo diritto di usufrutto anche sulle azioni di nuova emissione, a fronte del suo concorso alle spese per la liberazione di dette azioni (un’estensione dell’usufrutto sulle azioni derivanti da aumenti a pagamento senza il concorso alle spese da parte dell’usufruttuario integrerebbe una donazione di cosa futura, nulla ex art. 771 c.c.).
Deve comunque essere rispettata la specifica disciplina dettata dalla società emittente per la costituzione del diritto di usufrutto sulle azioni. Si ritiene, peraltro, legittima una clausola statutaria che nel sancire limiti e/o condizioni per la costituzione di usufrutto sulle azioni, preveda una deroga a tale disciplina per l’ipotesi in cui, in forza di un patto “estensivo” intervenuto tra le parti, sia richiesta l’estensione dell’usufrutto anche alle azioni di nuova emissione in caso di aumento a pagamento del capitale sociale.

H.G.35 – (SUPERAMENTO DELLA PROPORZIONE MASSIMA CONSENTITA TRA AZIONI ORDINARIE E AZIONI SENZA DIRITTO DI VOTO O CON DIRITTO DI VOTO LIMITATO O SUBORDINATO – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15).

Qualora il valore delle azioni senza diritto di voto, o con diritto di voto limitato a particolari argomenti, ovvero con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative, superi la metà del capitale sociale per il verificarsi di eventi tipici e legali attinenti alla normale dinamica del rapporto sociale (quali un recesso, l’annullamento di azioni del socio moroso, la riduzione del capitale per perdite in presenza di azioni postergate, altro ancora) non ricorre alcun obbligo di porre in essere operazioni che riconducano tale valore al di sotto del limite massimo previsto dall’art. 2351, comma 2, c.c.
In occasione di eventuali successivi aumenti di capitale sarà tuttavia obbligatorio offrire in sottoscrizione solo azioni ordinarie fino a quando non sia stata ristabilita la proporzione minima di legge tra queste e quelle senza voto o con voto limitato o subordinato.
La presenza anche di una sola azione avente diritto di voto esclude il verificarsi dello scioglimento della società per impossibilità di funzionamento dell’assemblea.

H.H.8 (PREVISIONE DI UN PREMIO DI MAGGIORANZA O DI UNO SCONTO DI MINORANZA NELLA CLAUSOLA STATUTARIA DI VALORIZZAZIONE DELLE AZIONI PER IL CASO DI RECESSO – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15).

Con riferimento alle cause convenzionali e derogabili di recesso, è legittimo che lo statuto di una società per azioni non quotata disponga che, in sede di liquidazione delle azioni del socio recedente, si preveda un “premio di maggioranza”, da attribuirsi nel caso in cui la partecipazione azionaria del socio uscente garantisca una posizione di controllo in seno alla società, oppure uno “sconto di minoranza”, da applicarsi nell’opposta ipotesi in cui il “pacchetto azionario” sia ininfluente ai fini del controllo societario.

H.I.18 (PRELAZIONE E USUFRUTTO – 1° pubbl. 9/04 – modif. 9/15 – motivato 9/15).

È legittima l’applicazione della clausola di prelazione anche alla cessione dell’usufrutto sulle azioni. È altresì legittima la clausola statutaria che, nello stabilire il diritto di prelazione per il trasferimento della titolarità delle azioni, ne preveda l’estensione alle ipotesi di costituzione del diritto di usufrutto.
Nel caso di costituzione di usufrutto, il diritto offerto agli altri soci dovrà avere le stesse caratteristiche di quello che si intende costituire a favore del terzo. Pertanto, se si tratta di usufrutto vitalizio, ai soci sarà offerto un usufrutto a termine commisurato alla vita di detto terzo.

I.G.49 – (LEGITTIMITÀ DI UN’OPERAZIONE DI AZZERAMENTO DEL CAPITALE PER PERDITE E SUA RICOSTITUZIONE SENZA L’INTEGRALE ANNULLAMENTO DELLE PARTECIPAZIONI PREESISTENTI – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15).

Nelle s.r.l. le quote di partecipazione sono concettualmente distinte da quelle di conferimento, sono da queste indipendenti, e sono naturalmente prive di valore nominale esplicito. Per tali motivi vengono propriamente individuate con una percentuale o con una frazione e non subiscono modifiche nel caso di aumento gratuito di capitale (art. 2481 ter, comma 2, c.c.) o di riduzione per perdite (art. 2482 quater c.c.).
Lo scioglimento di qualsiasi legame tra quote di partecipazione (art. 2463, comma 2, n. 6, c.c.) e quote di conferimento (art. 2463, comma 2, n. 5, c.c.) è la conseguenza di una precisa scelta operata dalla legge delega di riforma del diritto societario (L. n. 366/01), la quale, all’art. 3, comma 2, lett. c), ha previsto che fosse consentito ai soci di s.r.l. di regolare l’incidenza delle rispettive partecipazioni sociali sulla base di scelte contrattuali (dunque, senza alcun obbligo di rispettare una qualche proporzione con i conferimenti). A quanto sopra consegue che in tutte le operazioni di aumento di capitale a pagamento non ricorre mai l’obbligo di far coincidere il valore nominale implicito complessivo delle partecipazioni offerte in sottoscrizione con quanto richiesto in conferimento a titolo di capitale. E’ dunque possibile, a fronte di un aumento di capitale, offrire in sottoscrizione una percentuale delle quote di partecipazione nella società avente valore nominale implicito sia superiore che inferiore a quello del deliberato aumento (vedi orientamento I.G.33), all’unica, ovvia, condizione, che il prezzo richiesto non sia complessivamente inferiore all’aumento di capitale deliberato (in analogia con quanto previsto in sede di costituzione dall’art. 2464, comma 1, c.c.). Tale regola trova applicazione anche nell’ipotesi di aumento di capitale in ricostituzione di quello precedentemente azzerato per perdite, ove, pertanto, non ricorre alcun obbligo di offrire in sottoscrizione il 100% delle partecipazioni sociali, essendo possibile offrire ai sottoscrittori solo una parte di esse, dunque quote di partecipazione aventi un valore nominale implicito complessivamente inferiore a quello del deliberato aumento. E’ così, ad esempio, possibile deliberare un aumento in ricostituzione di euro 10.000 del capitale precedentemente azzerato per perdite, con offerta in sottoscrizione di quote di partecipazione rappresentanti il 60% della società, dunque di valore nominale implicito complessivo di euro 6.000. In tale ipotesi, le quote di partecipazione non offerte in sottoscrizione con l’aumento di capitale (nell’esempio quelle rappresentanti il 40% della società) rimarranno nella titolarità dei soci preesistenti, in proporzione a quelle che detenevano anteriormente all’azzeramento, ancorché il precedente capitale sociale sia stato annullato. Pertanto, qualora i medesimi non esercitino i propri diritti di sottoscrizione/opzione, non resteranno esclusi dalla società. Una siffatta delibera trova la sua applicazione naturale, e giustificazione causale, ogniqualvolta sia necessario azzerare il capitale sociale per perdite in dipendenza di un patrimonio solo contabilmente negativo ma in realtà positivo, in quei casi, cioè, in cui sussistono plusvalori inespressi dalle scritture contabili. Verificandosi tale fattispecie, infatti, se venissero offerte ai sottoscrittori del capitale ricostituito le intere partecipazioni sociali si realizzerebbe, qualunque fosse il prezzo di emissione, un esproprio dei plusvalori latenti insiti nelle partecipazioni di quei soci che non possono o non vogliono esercitare integralmente il diritto di sottoscrizione/opzione sul deliberato aumento.

I.G.50 (DIRITTO DI SECONDA SOTTOSCRIZIONE E SUA TANGIBILITÀ – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15).

Il terzo alinea dell’art. 2481 bis, comma 2, c.c. dispone che in caso di aumento di capitale mediante nuovi conferimenti (c.d. aumento reale o effettivo) “la decisione può anche consentire, disciplinandone le modalità, che la parte dell’aumento di capitale non sottoscritta da uno o più soci sia sottoscritta dagli altri soci o da terzi”, pure in assenza di una previsione in tal senso contenuta nell’atto costitutivo (cfr. orientamento I.G.4).
Nelle s.r.l., quindi, stabilire quale sia la sorte dell’operazione di aumento è facoltà riservata all’autonomia dei soci (da esercitarsi in sede assembleare, all’interno del procedimento di aumento). I soci potranno:
a) non assumere una deliberazione specifica (nel qual caso troverà applicazione il meccanismo di cui all’art. 2481 bis, comma 3, c.c. a seconda che l’aumento sia scindibile o inscindibile);
b) stabilire che, scaduti i termini per l’esercizio del diritto di sottoscrizione, la frazione di aumento di capitale rimasta non sottoscritta venga offerta in sottoscrizione ai soci che hanno già esercitato il proprio diritto (di qui il termine pratico: “seconda sottoscrizione”) o a terzi.
Nell’ipotesi sub b) devono ritenersi legittime sia la delibera che consenta di offrire la parte di aumento non sottoscritta ai soli soci che abbiano esercitato il proprio diritto di prima sottoscrizione con integrale esclusione dei terzi, sia quella che consenta di offrire la frazione di aumento di capitale non sottoscritta ai soci che abbiano esercitato il proprio diritto di prima sottoscrizione e, in subordine, ai terzi.
Appaiono invece di dubbia legittimità – salvo consti il consenso unanime di tutti i soci rappresentanti l’intero capitale sociale – le delibere che riservino la sottoscrizione dell’inoptato, in tutto o in parte, esclusivamente a vantaggio dei terzi con esclusione dei soci.

I.G. 51 – (AUMENTO A PAGAMENTO DEL CAPITALE IN PRESENZA DI PARTECIPAZIONI GRAVATE DA USUFRUTTO – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15).

In caso di partecipazioni gravate da usufrutto, se viene deliberato un aumento a pagamento del capitale, il diritto di sottoscrizione/opzione, ai sensi dell’art. 2352, comma 2, c.c. (richiamato dall’art. 2471 bis c.c.), spetta al socio (nudo proprietario) ed al medesimo sono attribuite le partecipazioni in base ad esso sottoscritte.
Le partecipazioni di nuova emissione sono attribuite al socio (nudo proprietario) in piena proprietà, dovendosi escludere sulle stesse un’estensione del diritto di usufrutto che continuerà a gravare solo sulle vecchie partecipazioni, salva diversa volontà espressa dalle parti.
Si ritiene che le parti (socio/nudo proprietario ed usufruttuario), possano, con apposito patto, disciplinare la fattispecie in maniera diversa, prevedendo, ad esempio, la facoltà per l’usufruttuario di ottenere l’estensione del suo diritto di usufrutto anche sulle partecipazioni di nuova emissione, a fronte del suo concorso alle spese per la liberazione di dette partecipazioni (un estensione dell’usufrutto sulle partecipazioni derivanti da aumenti a pagamento senza il concorso alle spese da parte dell’usufruttuario integrerebbe una donazione di cosa futura, nulla ex art. 771 c.c.). Deve comunque essere rispettata la specifica disciplina dettata dalla società per la costituzione del diritto di usufrutto sulle partecipazioni. Si ritiene, peraltro, legittima una clausola statutaria che nel sancire limiti e/o condizioni per la costituzione di usufrutto sulle partecipazioni, preveda una deroga a tale disciplina per l’ipotesi in cui, in forza di un patto “estensivo” intervenuto tra le parti, sia richiesta l’estensione dell’usufrutto anche alle partecipazioni di nuova emissione in caso di aumento a pagamento del capitale sociale.

I.H.19 – (LEGITTIMITÀ DELLA CLAUSOLA DI ESCLUSIONE DEL SOCIO CHE SIA UNA SOCIETÀ LEGATA ALLA MODIFICA NON AUTORIZZATA DELLA SUA COMPAGINE SOCIALE – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15).

Si reputa legittima come giusta causa di esclusione del socio ex art. 2473 bis c.c. quella in forza della quale un socio possa essere escluso dalla società qualora il medesimo sia a sua volta una società e, senza il consenso dei restanti soci della partecipata, muti per qualsiasi causa la propria compagine sociale, anche in esito a operazioni di scissione o fusione (c.d. changing control). Tale clausola può essere introdotta in statuto a maggioranza.

I.I.23 (PRELAZIONE E USUFRUTTO – 1° pubbl. 9/04 – modif. 9/15 – motivato 9/15).

È legittima l’applicazione della clausola di prelazione anche alla cessione dell’usufrutto sulle partecipazioni. È altresì legittima la clausola statutaria che, nello stabilire il diritto di prelazione per il trasferimento della titolarità delle partecipazioni sociali, ne preveda l’estensione alle ipotesi di costituzione del diritto di usufrutto.
Nel caso di costituzione di usufrutto, il diritto offerto agli altri soci dovrà avere le stesse caratteristiche di quello che si intende costituire a favore del terzo. Pertanto, se si tratta di usufrutto vitalizio, ai soci sarà offerto un usufrutto a termine commisurato alla vita di detto terzo.

I.I.31 – (AMMISSIBILITÀ DI DIRITTI PARTICOLARI ATTRIBUITI A TUTTI I SOCI – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15).

Si ritiene ammissibile l’attribuzione di uno o più diritti particolari a tutti i soci di una s.r.l., in considerazione:
a) del tenore letterale dell’art. 2468, comma 3, c.c., il quale individua, quali soggetti titolari dei particolari diritti, “singoli soci”, con ciò lasciando intendere che debba trattarsi di specifici soci, nominativamente individuati, senza escludere che i diritti particolari possano riguardare tutti i soci;
b) dell’ampia autonomia statutaria riconosciuta post riforma al tipo sociale s.r.l., la quale dovrebbe permettere di attribuire rilevanza centrale alle persone di tutti i soci, ove ciò corrisponda alla volontà degli stessi.

L.E.10 – (INDIVIDUAZIONE DEI SOCI CHE DEVONO PRESTARE IL PROPRIO CONSENSO AD UNA SCISSIONE ASIMMETRICA – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15).

Nella scissione asimmetrica il “consenso unanime” richiesto dall’art. 2506, comma 2 , c.c., deve intendersi come il consenso dei soli soci cui non siano assegnate partecipazioni in una o più società partecipanti alla scissione, siano esse la scissa o le beneficiarie. Tale disposizione, infatti, non appare volta a derogare all’eventuale regola maggioritaria vigente nella società scissa per le decisioni dei soci, bensì a tutelare il diritto individuale di ciascun di essi a non essere estromesso dalle iniziative imprenditoriali cui partecipa.
A quanto sopra consegue che:
a) il consenso dei soci alla scissione asimmetrica può essere prestato sia al momento dell’approvazione del relativo progetto sia antecedentemente che successivamente a tale momento, purché prima della stipula dell’atto di scissione;
b) non è necessario che una scissione solo parzialmente asimmetrica sia approvata anche con il consenso di quei soci cui verranno assegnate partecipazioni in tutte le società risultanti dall’operazione.

L.E.11 – (NON NECESSITÀ DI CONSENSO UNANIME NEL CASO DI SCISSIONE ASIMMETRICA CON FACOLTÀ DI OPZIONE PROPORZIONALE – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15).

Nel caso di scissione asimmetrica il cui progetto preveda la facoltà per ciascun socio di optare per la partecipazione in tutte le società interessate all’operazione di scissione in proporzione alla sua quota di partecipazione originaria, non appare necessaria l’esistenza di un consenso unanime all’operazione. Salvo che il progetto di scissione non disponga diversamente, le minori partecipazioni assegnate a determinati soci per effetto dell’eventuale esercizio dell’opzione proporzionale da parte di altri soci, sono compensate con l’assegnazione proporzionale ai primi della porzione di partecipazioni rifiutata dai secondi, mantenendo in tal modo inalterato il rapporto di cambio.

P.B.1 – (DELIBERAZIONI SULLE PERDITE DI SOCIETÀ SOGGETTA A CONCORDATO PREVENTIVO O AD ACCORDO DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI OMOLOGATI – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15).

Ai sensi dell’art. 182 sexies L.F., alle società che domandano l’ammissione al concordato preventivo o l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti non si applicano, dalla data della domanda e fino all’omologazione, le disposizioni sulla tutela dell’integrità del capitale sociale dettate dagli artt. 2446, commi 2 e 3; 2447; 2482 bis, commi 4, 5 e 6; 2482 ter e 2484, n. 4, c.c.
Successivamente all’omologazione le suddette disposizioni tornano a trovare piena applicazione, ancorché il piano o l’accordo non siano stati ancora eseguiti.
In tale fase, per determinare se la società si trovi in uno stato di perdita rilevante che imponga una riduzione del capitale, una trasformazione o il suo scioglimento, occorre tenere conto di quanto previsto dal piano concordatario o dall’accordo di ristrutturazione, dunque:
a) delle sopravvenienze attive determinate dalla riduzione dei debiti (falcidia);
b) dell’eventuale maggior valore di realizzo dei beni sociali, di cui è prevista la vendita per soddisfare i creditori, rispetto a quello contabile;
c) dell’eventuale previsione che contempli il pagamento di una percentuale di determinate passività con utili futuri prodotti dalla società;
d) di ogni altro eventuale accordo idoneo a modificare la situazione patrimoniale e finanziaria della società.
All’assemblea chiamata a deliberare sulle perdite dovrà comunque essere sottoposta la situazione patrimoniale di cui agli artt. 2446 o 2482 bis c.c., la quale, dovendo rappresentare in maniera veritiera e corretta la situazione patrimoniale e finanziaria della società tenendo conto degli effetti del piano concordatario o dell’accordo di ristrutturazione, dovrà essere redatta, ai sensi dell’art. 2423, comma 4, c.c., derogando alle disposizioni di legge sul bilancio incompatibili con tale rappresentazione veritiera (potranno, ad esempio, essere operate rivalutazioni o create nuove poste rappresentanti specifici effetti del piano).
Dell’eventuale deroga e della sua influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico si dovrà dare motivazione e conto nella relazione degli amministratori (o nella nota integrativa, se predisposta – vedi orientamenti H.G.26 e I.G. 40).

P.B.2 – (DETERMINAZIONE DEL TERMINE DI SCADENZA DEGLI EFFETTI DELL’ART. 182 SEXSIES LEGGE FALL. NEL CASO DI MANCATA OMOLOGA – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15).

L’art. 182 sexies legge fall. dispone che alle società che domandano l’ammissione al concordato preventivo o l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti non si applicano, dalla data della domanda e fino all’omologazione, le disposizioni sulla tutela dell’integrità del capitale sociale dettate dagli artt. 2446, commi 2 e 3; 2447; 2482 bis, commi 4, 5 e 6; 2482 ter e 2484, n. 4, c.c.
Può tuttavia accadere che ad una di dette domande non segua l’omologa a causa dell’inammissibilità della proposta (artt. 161, comma 9, e 162 legge fall.), della sua revoca (art. 173 legge fall.) o del suo rigetto (art. 180 legge fall.). In tali ipotesi si ritiene che l’effetto protettivo previsto dall’art. 182 sexies legge fall. cessi dalla data di emanazione di uno dei suddetti provvedimenti di chiusura del procedimento.

Q.A.19 – (MAGGIORANZA DEI SOCI PROFESSIONISTI NELLA S.T.P. – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15).

In una s.t.p. appare legittimo che il numero di soci professionisti sia inferiore ai due terzi della compagine sociale ovvero che la partecipazione degli stessi al capitale sociale sia inferiore ai due terzi del medesimo, purché in ogni possibile decisione, considerando il metodo di approvazione concretamente adottato (per teste, per partecipazione agli utili, per partecipazione al capitale), ad essi spetti la maggioranza dei due terzi dei voti esercitabili.
La disposizione sulla composizione qualitativa della compagine sociale contenuta nell’art. 10, comma 4, lett. b) della legge 12 novembre 2011, n. 183 appare, infatti, volta a garantire ai soci professionisti i due terzi dei voti esercitabili e non anche una maggioranza di mera partecipazione slegata dai diritti di voto.

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