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Anatocismo: pubblicata la delibera CICR sull’art. 120, c. 2, TUB

Anatocismo: pubblicata la delibera CICR sull’art. 120, c. 2, TUB

Il Ministero dell’economia e delle finanze ha reso noto che, il 3 agosto scorso il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio ha approvato una delibera, in via di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, che detta le disposizioni applicative del secondo comma dell’art. 120 del Testo unico bancario (TUB), come sostituito dall’articolo 17-bis del decreto legge 14 febbraio 2016, n. 18 (convertito nella legge 8 aprile 2016, n. 49).

La delibera sostituisce la precedente del 9 febbraio 2000 (“Modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria (art. 120, comma 2, del Testo unico bancario, come modificato dall’art. 25 del d.lgs. 342/99)”).

Il nuovo testo del comma 2 dell’articolo 120 del TUB demanda al CICR l’individuazione di modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo che:

– nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno;

– gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti;

– gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale;

– per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido;

– gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1ºmarzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati;

– nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili;

– il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili;

– in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l’autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l’addebito abbia avuto luogo.

Nel dare attuazione alle disposizioni di legge, la delibera, che si compone di 5 articoli, stabilisce espressamente quanto segue:

Art.1
(Definizioni)

Ai fini del presente provvedimento si definisce:

“cliente”, qualsiasi soggetto che ha in essere un rapporto contrattuale con un intermediario. Non sono clienti le banche, le società finanziarie, gli istituti di moneta elettronica, gli istituti di pagamento, le imprese di assicurazione, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, i fondi di investimento alternativi, le società di gestione del risparmio, le società di gestione accentrata di strumenti finanziari, i fondi pensione, Poste Italiane s.p.a., la Cassa depositi e prestiti e ogni altro soggetto che svolge attività di intermediazione finanziaria. Non si considerano clienti nemmeno le società aventi natura finanziaria controllanti, controllate o sottoposte al comune controllo dei soggetti sopra indicati;

“intermediario”, le banche, gli intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del TUB e gli altri soggetti abilitati a erogare a titolo professionale finanziamenti ai quali si applica il titolo VI del TUB;

“conto di pagamento”, il conto come definito all’articolo 1, comma 1, lettera l), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11.

Art.2
(Scopo e ambito di applicazione)

1. Il presente decreto attua l’articolo 120, comma 2, del TUB e si applica alle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito tra intermediari e clienti disciplinate ai sensi del titolo VI del TUB.

2. La produzione di interessi nelle operazioni di cui al comma 1 è regolata secondo le modalità e i criteri indicati negli articoli 3 e 4.

3. L’imputazione dei pagamenti è regolata in conformità dell’articolo 1194 del codice civile.

Art.3
(Regime degli interessi)

1. Nelle operazioni indicate dall’articolo 2, comma 1, ivi compresi i finanziamenti a valere su carte di credito, gli interessi debitori maturati non possono produrre interessi, salvo quelli di mora.

2. Agli interessi moratori si applicano le disposizioni del codice civile.

3. Nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento è assicurata la stessa periodicità, comunque non inferiore a un anno, nel conteggio degli interessi creditori e debitori. Gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, comunque, al termine del rapporto per cui sono dovuti; per i contratti stipulati nel corso dell’anno, il conteggio è effettuato il 31 dicembre.

Art.4
(Interessi maturati in relazione alle aperture di credito regolate in conto corrente e conto di pagamento e agli sconfinamenti)

1. Il presente articolo si applica:

a) alle aperture di credito regolate in conto corrente di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 30 giugno 2012, n. 644, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 luglio 2012, n. 155, e a quelle regolate in conto di pagamento anche quando la disponibilità sul conto, nella forma di cui all’articolo 1842 del codice civile, sia generata da operazioni di anticipo su crediti e documenti;

b) agli sconfinamenti di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b), c) ed), del medesimo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 30 giugno 2012, n. 644, quali definiti dall’articolo 1, comma 1, lettera d), del decreto anzidetto.

2. Ai contratti di apertura di credito che vengono stipulati e si esauriscono nel corso di uno stesso anno solare si applica il solo comma 7.

3. Gli interessi debitori maturati sono contabilizzati separatamente rispetto alla sorte capitale. Il saldo periodico della sorte capitale produce interessi nel rispetto di quanto stabilito dal presente articolo.

4. Gli interessi debitori divengono esigibili il 1 ° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati. Al cliente deve comunque essere assicurato un periodo di trenta giorni dal ricevimento delle comunicazioni previste ai sensi dell’articolo 119 o 126-quater, comma 1, lettera b ), del TUB prima che gli interessi maturati divengano esigibili. Il contratto può prevedere termini diversi, se a favore del cliente.

5. Ai sensi dell’articolo 120, comma 2, lettera b), del TUB, il cliente può autorizzare, anche preventivamente,  l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l’autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l’addebito abbia avuto luogo.

6. Il contratto può stabilire che, dal momento in cui gli interessi sono esigibili, i fondi accreditati sul conto dell’intermediario e destinati ad affluire sul conto del cliente sul quale è regolato il finanziamento siano impiegati per estinguere il debito da interessi.

7. Fermo restando quanto disposto dall’articolo 2, comma 3, in caso di chiusura definitiva del rapporto,
gli interessi sono immediatamente esigibili. Il saldo relativo alla sorte capitale può produrre
interessi, secondo quanto previsto dal contratto; quanto dovuto a titolo di interessi non produce ulteriori
interessi.

Art. 5
(Disposizioni finali)

1. Gli intermediari applicano il presente decreto, al più tardi, agli interessi maturati a partire dal 1° ottobre 2016.

2. I contratti in corso sono adeguati con l’introduzione di clausole conformi all’articolo 120, comma 2, del TUB e al presente decreto, ai sensi degli articoli 118 e 126-sexies del TUB. L’adeguamento costituisce giustificato motivo ai sensi dell’articolo 118 del TUB. Sulla clausola contenente l’autorizzazione prevista dall’articolo 4, comma 6, deve essere acquisito il consenso espresso del cliente, secondo quanto previsto dall’articolo 117, comma 1, del TUB. Per i contratti che non prevedono l’applicazione degli articoli 118 e 126-sexies del TUB, gli intermediari propongono al
cliente l’adeguamento del contratto entro il 30 settembre 2016.

3. Ai sensi dell’art. 127, comma 1, del TUB, le previsioni del presente decreto sono derogabili solo in senso più favorevole al cliente.

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D.Lgs. 180 e 181 del 2015: Le nuove regole sulle crisi bancarie

D.Lgs. 180 e 181 del 2015: Le nuove regole sulle crisi bancarie

Le nuove regole sulle crisi bancarie, introdotte dai d.lgs. 180 e 181 del 16 novembre 2015, sono state utilizzate pochi giorni dopo nella risoluzione della nota crisi di quattro banche di medie dimensioni.

Dal 2016 la loro operatività sarà completa.

L’articolo descrive in sintesi le novità e spiega il loro impatto sulle banche, sui loro creditori e sui loro clienti.

Dalla crisi finanziaria alle nuove regole

La crisi finanziaria, che ha colpito il mondo in un drammatico crescendo a partire dall’estate del 2007, ha messo in evidenza la mancanza, nei paesi più avanzati, di regole che consentissero di affrontare con rapidità ed efficacia la crisi delle banche. Messi di fronte all’alternativa fra salvare le proprie banche con denaro pubblico e lasciarle fallire, scatenando il panico come era accaduto con Lehman Brothers e mettendo in ginocchio l’economia reale, i governi di Stati Uniti, Germania, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio e di molti altri paesi scelsero la seconda strada.
In conseguenza delle dure lezioni così apprese, è iniziato un movimento globale dei regolatori che, a partire dal Financial Stability Board e passando per l’Unione europea, ha portato all’emanazione di un complesso di regole in materia di crisi bancarie ispirate a tre principi:

1) pianificazione: devono essere attentamente pianificate le azioni da intraprendere in caso di crisi:

a) dal lato della banca, mediante “piani di risanamento” da far scattare rapidamente in caso di peggioramento della situazione;

b) dal lato dell’autorità chiamata a gestire l’eventuale dissesto, con “piani di risoluzione”, cioè programmi da mettere in atto qualora la banca cada o stia per cadere a breve in stato di dissesto, finalizzati a consentire un’ordinata gestione della situazione;

2) intervento precoce: in caso di situazione di crisi, ma non ancora di dissesto, devono essere disponibili strumenti di intervento precoce da parte dell’autorità che vigila sulla stabilità della banca;

3) “risoluzione” (termine con cui si indica l’ordinata gestione del dissesto dell’intermediario): in caso di dissesto vero e proprio, devono essere disponibili strumenti che, qualora la liquidazione della banca possa avere un impatto sistemico (cioè avere ripercussioni sull’economia reale), consentano di garantire la continuità delle sue funzioni essenziali senza ricorso, o con un ricorso limitato, a fondi pubblici o ad aiuti esterni.

In quest’ottica, l’Unione europea ha emanato la direttiva 59/2014/UE, detta anche Bank Recovery and Resolution Directive, o BRRD.
La sua attuazione in Italia è avvenuta, con alcuni mesi di ritardo sul termine di recepimento del 31 dicembre 2014, mediante l’emanazione di due decreti legislativi gemelli, i d.lgs. 16 novembre 2015, nn. 180 e 181.

Il d.lgs. 181/2015: l’adeguamento del Testo unico bancario

Il d.lgs. 181/2015 adegua il Testo unico bancario alla direttiva, come segue:

a) impone a tutte le banche di adottare un piano di risanamento, individuale o di gruppo, che individui le misure che la banca intende adottare al fine di riequilibrare la sua situazione patrimoniale e finanziaria qualora in futuro essa subisse un significativo deterioramento (nuovi artt. 69-ter ss.);

b) prevede che le varie entità di un gruppo possano stipulare accordi finalizzati al sostegno finanziario nell’eventualità di una crisi, e che possano comunque prestarsi tale sostegno (nuovi artt. 69-duodecies ss.);

c) prevede penetranti poteri della Banca d’Italia in caso di peggioramento della situazione della banca (c.d. poteri di intervento precoce, ricordati sopra), consistenti nel potere di impartire ai suoi organi l’ordine di attuare le misure del piano di risanamento o di negoziare accordi con i suoi creditori (nuovi artt. 69-noviesdecies ss.), o nel potere di rimuovere i suoi amministratori, organi di controllo o dirigenti apicali (art. 69-vicies-semel);

d) prevede alcuni adeguamenti (non particolarmente significativi) alle procedure di amministrazione straordinaria e liquidazione coatta amministrativa delle banche, già previste dal TUB (rispettivamente, artt. 70 ss. e artt. 80 ss.

Il d.lgs. 180/2015: le nuove regole sulla “risoluzione” delle banche

Il d.lgs. 180/2015 detta invece un complesso di regole del tutto nuove.

Esso prevede in primo luogo che la Banca d’Italia studi la situazione di ogni banca, preparando un piano d’azione definito, come già detto, “piano di risoluzione”, per l’eventualità che essa cada in stato di dissesto (artt. 7 ss.).

Tale piano ha la funzione di consentire alla Banca d’Italia di affrontare la crisi, nel momento in cui dovesse presentarsi, senza essere colta di sorpresa e in modo efficace, in relazione alle peculiarità della singola banca o del singolo gruppo bancario (dimensione, caratteristiche di business, interconnessione con altri intermediari finanziari, ecc.).

Il cuore della normativa, tuttavia, è la disciplina della risoluzione vera e propria (artt. 17 ss.).

Essa prevede che in caso di dissesto di una banca, non superabile in tempi brevi mediante interventi di mercato (aumenti di capitale, dismissioni, ecc.) o azioni di forza (quelle sopra viste, consentite dal TUB), la Banca d’Italia debba, nell’ordine (artt. 20 ss.):

1) svalutare le azioni e gli strumenti di capitale (obbligazioni subordinate), fino a coprire le perdite, e quindi convertire il residuo delle obbligazioni subordinate in capitale fino a ripristinare il patrimonio di vigilanza necessario perché la banca possa operare;

2) qualora ciò non sia sufficiente, effettuare una scelta fondamentale:

a) aprire la procedura di risoluzione, quando ciò sia necessario ad assicurare la continuità delle funzioni essenziali, a tutelare i depositanti e gli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, a ridurre l’onere a carico delle finanze pubbliche (artt. 21);

b) aprire invece la normale procedura di liquidazione coatta amministrativa prevista dal TUB, ogniqualvolta non vi sia pericolo per gli interessi di cui alla precedente lettera a).

La procedura di risoluzione, in sostanza, sottrae la banca in dissesto alla procedura di insolvenza normalmente prevista, e ciò al fine di ridurre il rischio sistemico e i costi per i creditori e per la collettività.

Il punto fondamentale, dunque, è capire quali sono gli strumenti che consentono alla risoluzione di operare più efficientemente della liquidazione coatta amministrativa. Si tratta di strumenti, in larga parte nuovi, che permettono di operare sia sull’attivo e sull’azienda, trasferendoli rapidamente a terzi, sia sul passivo, riducendolo al fine di coprire le perdite e ripristinare il patrimonio necessario perché la banca possa operare.

Essi sono, principalmente:

1) lo strumento della cessione di tutte le attività e le passività, o parte di esse, a terzi o a un ente-ponte, che li rilevano assicurando la continuità dell’attività bancaria;

2) il bail-in, che appunto incide sul passivo, cancellando le azioni, gli strumenti finanziari e i debiti nella misura necessaria per conseguire gli obiettivi della risoluzione.

Con il bail-in, le perdite della banca sono poste a carico dei suoi azionisti e dei suoi creditori, e non a carico di terzi (tipicamente, altre banche o la fiscalità generale). Se ad esempio la banca, per poter operare, deve avere un patrimonio di +10 e ha invece un deficit (cioè ha un attivo inferiore ai debiti) di ‒100:

si eliminano gli azionisti;

si riducono di 100 i diritti dei creditori, secondo il loro ordine di soddisfazione (da quelli subordinati a quelli via via più garantiti), riportando il passivo della banca ad un valore uguale al suo attivo;

– così azzerato il deficit, si converte un’altra parte delle pretese dei creditori (sempre rispettando la gerarchia), facendoli diventare azionisti nella misura necessaria a ripristinare il patrimonio di 10, che occorre alla banca per operare. Se invece la banca ha solo un patrimonio insufficiente, ma non un deficit, allora gli azionisti vengono diluiti ma non eliminati. Si tratta di un salvataggio interno della banca in crisi, contrapposto a quello fatto con i soldi dei contribuenti (che viene comunemente definito bail-out).

Lo strumento dell’ente-ponte è stato immediatamente utilizzato, il 22 novembre 2015, per la risoluzione di quattro banche, trasferendo, nel giro di poche ore, tutte le loro attività (ad eccezione dei crediti in sofferenza) e tutte le loro passività (ad eccezione delle obbligazioni subordinate, cioè le più rischiose), a quattro nuove società.

Il bail-in entrerà invece in vigore dal 1° gennaio 2016.

Altre considerazioni e prospettive future.

Per le banche e i gruppi più grandi dell’Eurozona, assoggettati a vigilanza della BCE, e per tutti i gruppi transnazionali con sedi nell’Eurozona, le nuove regole verranno applicate non dalla Banca d’Italia, ma dal neocostituito Single Resolution Board con sede a Bruxelles. Gran parte delle nuove regole, inoltre, si applicano anche alle SIM e agli altri intermediari finanziari.

L’intervento è tecnicamente complicatissimo, e vi sono poi ulteriori elementi che dovrebbero farlo funzionare a dovere (in primis, il fondo di risoluzione finanziato dalle banche, che mira a fornire risorse alla gestione della crisi, e il fondo di garanzia dei depositi).

Al di là dei dettagli tecnici e dei rilevanti spunti innovativi, occorre tuttavia tentare di individuare gli obiettivi della nuova normativa.

Essi sono in sostanza due:

1) ridurre la possibilità che si verifichi una crisi bancaria. In questo i due decreti legislativi in commento costituiscono solo l’ultimo di una serie di vari interventi che, a questo scopo, hanno incrementato i requisiti patrimoniali perché le banche possano operare, hanno uniformato a livello europeo le regole in materia di valutazioni (ad esempio, dei crediti), hanno accentrato nella BCE la vigilanza delle banche e dei gruppi più significativi dei 19 paesi dell’Eurozona e hanno dotato le autorità di vigilanza dei singoli paesi di incisivi poteri di intervento sull’autonomia delle banche (da ultimo, in Italia, con il d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, che ha modificato il TUB);

2) consentire che, qualora si verifichi, la crisi venga gestita con il minimo impatto per i clienti e i creditori della banca e, possibilmente, senza costi per i contribuenti.

Se tutto questo funzionerà, sarà l’esperienza a dirlo. Non si può tuttavia rimpiangere un passato in cui nessuno subiva perdite dal dissesto di una banca: ciò accadeva, infatti, perché gli sportelli bancari avevano un alto valore di mercato e potevano essere venduti ad altre banche, e perché le risorse mancanti venivano prelevate dai contribuenti, aumentando così il debito pubblico. Queste condizioni non ci sono più: le banche chiudono i propri sportelli, figuriamoci se ne acquistano altri, e il debito pubblico è al limite della sostenibilità.

La conseguenza è che le banche sono divenute imprese (quasi) come le altre, e possono fallire. Quando ciò accade, c’è sempre qualcuno che perde. Le nuove regole cercano di ridurre quella perdita al minimo.

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Anatocismo: L’ ABF si allinea ai Tribunali di Milano e Roma

Anatocismo: L’ ABF si allinea ai Tribunali di Milano e Roma

Anche il collegio di Coordinamento dell’ABF prende posizione sulla fondamentale questione dell’applicabilità temporale del divieto di anatocismo. In realtà, si tratta di una soluzione che oggi si manifesta tutto meno che inedita.

La stessa anzi si sta decisamente venendo a consolidare nel milieu dell’attuale diritto vivente; più ancora sul fronte giurisprudenziale, per la verità, che nel contesto dottrinario, in cui – a fronte di un orientamento maggioritario fermo su questa posizione – permangono tuttora sacche di resistenza a favore delle banche.

Come noto, l’art. 120, comma 2, del TUB, come modificato dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 ha demandato al CICR il compito di definire “modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:

a) nelle operazioni di conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori;

b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.

Riprendendo espressamente il ragionamento svolto dal Collegio, la legge 27 dicembre 2013, n. 147, vietando l’anatocismo, non ha fatto altro che “normativizzare” un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (ancorchè non condiviso da parte della dottrina).

Del resto, la lettera della norma, al di là di alcune oscurità, depone chiaramente nel senso di imporre, con effetto immediato, il divieto di anatocismo.
L’interpretazione abrogatrice della novella emerge con evidenza dal confronto tra l’incipit del previgente comma 2 dell’art.120 del TUB, che demandava al CICR il compito di stabilire modalità e criteri per la “produzione di interessi sugli interessi” (vale a dire di disciplinare sul piano tecnico l’anatocismo nelle operazioni bancarie) e l’incipit del nuovo comma 2 introdotto dall’art.1, comma 629, della legge n.147/2013 che, in sostituzione della precedente disposizione, demanda al CICR di stabilire modalità e criteri per “la produzione di interessi” (semplici), e non più per la produzione di interessi sugli interessi (i c.d. interessi composti o secondari che sostanziano il fenomeno dell’anatocismo).

L’evidenza della descritta vicenda abrogativa, già desumibile dal dato testuale della legge di stabilità 2014, trova ulteriore riscontro da un lato nella espressa motivazione dell’intervento legislativo, emergente dalla chiara dichiarazione di intenti dei suoi proponenti di “mettere la parola fine a un comportamento riconosciuto illegittimo dalla giurisprudenza, ma costantemente tollerato dal legislatore” (cfr. Relazione alla proposta di legge n.1661 del 2013, condivisa ora dalla Banca d’Italia nel c.d. “Documento per la consultazione”, laddove afferma che l’intenzione del legislatore era di “stabilire l’improduttività degli interessi composti”), e dall’altro dal successivo tentativo, poi abortito, di ripristinare l’anatocismo bancario, portato avanti con la scrittura dell’art. 31 del D.L. 24 giugno 2014, n. 91 (non convertito in legge), laddove, con altrettanta consapevolezza (implicante una sorta di interpretazione autentica della legge di stabilità 27.12.2013, n.147) il legislatore aveva previsto con parallelo incipit di demandare al CICR di stabilire “modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi”.

Si tratta dunque di un classico caso di abrogazione di una disposizione di legge da parte di una disposizione successiva avente pari valore gerarchico (art.15 delle preleggi), nel quale l’interpretazione abrogatrice, già desumibile dal dato testuale, trova puntuale conforto logico nel principio di incompatibilità (non contraddizione) e nel criterio ermeneutico storico – evolutivo.

Da qui, conclude il Collegio, la conseguenza che, se dall’1 gennaio 2014 è caduta la riserva di anatocismo bancario, i relativi effetti hanno cominciato a prodursi contestualmente alla data di entrata in vigore della legge che l’ha determinata.

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Anatocismo: in consultazione la proposta di delibera CICR

Anatocismo: in consultazione la proposta di delibera CICR

L’art. 120, comma 2, del TUB, il quale disciplina la produzione degli interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, così come riformato dal legislatore con la legge di stabilità 27 dicembre 2013, n. 147, è apparso sin dalla prima lettura una norma involuta che non brilla certo per chiarezza.

Sebbene paia non revocabile in dubbio che attraverso l’attuale e vigente formulazione dell’art. 120, comma 2, del TUB, il legislatore abbia inteso eliminare nei rapporti tra banche e clienti ogni forma di produzione di interessi sugli interessi, sia attivi sia passivi, a fronte di tale importante certezza si sono poste numerose ed altrettanto rilevanti incertezze scaturenti da una formulazione davvero infelice che, riferendosi alle «operazioni di capitalizzazione», sembra comunque in qualche modo consentirla.

L’anatocismo – consentito, a certe condizioni, dall’articolo 1283 del Codice civile – è la pratica seguita dalle banche di calcolare gli interessi sugli interessi e non soltanto sul capitale.
Le Sezioni unite della Cassazione (sentenza 21095/2004) hanno definitivamente dichiarato illegittima questa prassi per il passato, mentre a decorrere dal 2000 era stata legittimata (con Dlgs 342/1999 e delibera Cicr 9/2/2000) purché “gli interessi attivi e passivi siano calcolati con pari periodicità”.

Già nel 2014, il legislatore, attraverso l’art. 31 del d.l. 24 giugno 2014, n. 91, aveva ritenuto di dover “ritornare” sulla stessa norma e di proporre una ulteriore e diversa versione dell’articolo in commento in base alla quale si prevede che il CICR (Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio) stabiliscamodalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni disciplinate ai sensi del presente Titolo”.

Tuttavia, in sede di esame al Senato, l’art. 31 del d.l. 24 giugno 2014, n. 91 veniva soppresso e non riproposto in sede di conversione.

Nell’estate 2014 era stato approvato un ordine del giorno (n. 9/2568-AR/13) in cui il Governo rilevava che “il comma 2 dell’articolo 120 del TUB così come novellato (nel 2013) risulta però di difficile interpretazione e inoltre non prevede una propria disposizione di entrata in vigore, né una specifica disciplina transitoria. Le criticità sulla concreta applicabilità della capitalizzazione degli interessi, dovute al tenore letterale del citato comma, hanno infatti impedito al CICR di emanare la delibera prevista dalla stessa norma”.

Muovendo da tale considerazione, nello stesso ordine del giorno (n. 9/2568-AR/13), approvato nell’estate 2014, il Governo espressamente si “impegnava” ad adottare iniziative legislative in materia di calcolo degli interessi sugli interessi, in modo tale da allineare l’Italia alle prassi internazionali, correggere le incertezze operative e i vuoti di disciplina dovuti alla vigente normativa nonchè ad aumentare la trasparenza dei tassi per i clienti, prevedendo che la produzione degli interessi sugli interessi nelle operazioni in conto corrente o in conto di pagamento (nei limitati casi ammessi dal CICR) non potesse avvenire con periodicità inferiore all’anno.

Nel 2015 si colloca il disegno di legge del 6 marzo 2015, n. 1849 presentato al Senato, con il quale, preso “atto del disallineamento tra la normativa primaria e quella secondaria, circostanza che non consente di determinare in maniera diretta e incontrovertibile se, a tutt’oggi, l’anatocismo debba ritenersi ancora ammesso”, sono state proposte alcune modifiche all’art. 120, comma 2, del TUB e l’introduzione di un espresso regime transitorio secondo cui “fino alla data di entrata in vigore della delibera del CICR prevista dal comma 2 dell’articolo 120 del testo unico bancario, come sostituito dall’articolo 1 della presente legge, continua ad applicarsi la delibera CICR del 9 febbraio 2000, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 43 del 22 febbraio 2000” (cfr. disegno di legge n. 1849 presentato al Senato in data 6 marzo 2015).

Da ultimo, nel mese di luglio 2015, la Banca d’Italia, a seguito di pubblica consultazione, ha pubblicato le nuove disposizioni di vigilanza in tema di “trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari – correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti”, norme che “aggiornano” le disposizioni in tema di trasparenza adottate nel 2009 (Vedi art. pubblicato in data 27 luglio).

In data 25 agosto 2015, sotto l’evidente impulso del moltiplicarsi di sentenze per lo più sfavorevoli al sistema bancario, “reo” di aver continuato a praticare l’anatocismo nonostante il prescritto divieto di addebitare “interessi sugli interessi“, la Banca d’Italia ha posto in consultazione la proposta di delibera CICR di attuazione all’articolo 120, comma 2, del Testo Unico Bancario.

Infatti, pur in assenza della richiesta delibera del CICR, l’anatocismo bancario è vietato dal 1° gennaio 2014.

Così hanno deciso due ordinanze della Sesta sezione del Tribunale di Milano del 25 marzo e del 3 aprile scorso con le quali è stato inibito a tre banche (Banca popolare di Milano, Deutsche Bank e Ing Bank) il calcolo degli interessi del conto corrente anche sugli interessi del trimestre precedente e non soltanto sul capitale.

Nella relazione illustrativa pubblicata assieme allo schema di delibera, Banca d’Italia sottolinea che le soluzioni tecniche adottate, specie con riferimento alla contabilizzazione separata degli interessi, risultano in linea con le prime pronunce della giurisprudenza in materia e che le opzioni interpretative seguite sono state condivise con il ministero dell’economia e delle finanze.

In particolare, nella proposta si afferma che nei contratti di apertura di credito in conto corrente e nei contratti di finanziamenti a valere su carte di credito:

• gli interessi attivi e passivi devono essere conteggiati con la stessa periodicità (comunque non inferiore a un anno);

• il conteggio degli interessi si effettua il 31 dicembre di ciascun anno (o, se anteriore, il giorno in cui termina il rapporto da cui gli interessi si originano);

• gli interessi maturati devono essere contabilizzati separatamente rispetto al capitale, in modo che non ne sia influenzato il calcolo degli interessi dovuti sul capitale;

• gli interessi, sia attivi che passivi, divengono esigibili con il decorso di 60 giorni dal ricevimento da parte del cliente dell’estratto conto o delle comunicazioni di cui rispettivamente all’articolo 119 del Tub e all’articolo 126-quater, comma 1, lettera b) del Tub (fermo restando che il contratto può prevedere termini diversi, ma a favore del cliente);

• decorso il termine di 60 giorni (o quello superiore eventualmente concordato), il cliente può autorizzare l’addebito degli interessi (sul conto o sulla carta di credito).

Tuttavia nella bozza di regolamento messa in consultazione dalla Banca d’Italia non si cancella la prassi di effettuare l’anatocismo e cioè di conteggiare “interessi sugli interessi”, ma la si pospone solamente di 60 giorni.

Invero, decorso il termine di 60 giorni (o quello superiore eventualmente concordato), il cliente può autorizzare l’addebito degli interessi (sul conto o sulla carta di credito) ed in tal modo, la somma addebitata va a far parte del capitale, sul quale si calcolano gli interessi.
Insomma, gli interessi sono sterilizzati per un anno e 60 giorni, dopo di che sono capitalizzati e si ha nuovamente anatocismo.
Come dire “l’anatocismo esce dalla porta ma entra dalla finestra”…

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